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martedì 21 gennaio 2014

Principi del sistema successorio a causa di morte. Proprietà, persona e libertà nel sistema giuridico italiano e nella dimensione europea.

 Un problema che ha da sempre attanagliato l’uomo è quello della morte, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue implicazioni. Di fronte a tale fatto o momento (ineluttabile) l’uomo di ogni tempo ha cercato di sondare ciò che non era noto, alla ricerca di risposte, dando vita a profonde discussioni non solo teologiche, ma in senso più ampio filosofiche, involgendo l’esistenza e l’essenza dell’essere umano.
Rispetto a tali dimensioni e problematiche il Diritto è quasi estraneo, ma non indifferente.
Disse quel filosofo: dunque il male che più ci fa rabbrividire, cioè la morte, è nulla per noi, dal momento che quando noi viviamo la morte non c’è, quando invece c’è la morte, allora non siamo più noi. Dunque la morte non ci riguarda, né quando siamo vivi, né quando siamo morti, perché per i vivi essa non c’è, i morti, invece, non sono più1.
Se tale impostazione edonista può apparire, in un primo momento, un porto rassicurante per l’inquietudine esistenziale, non è altrettanto soddisfacente per il sistema economico-sociale-giuridico. Il momento della dipartita produce conseguenze nel mondo-comunità, che, invece, continua ad esistere, operare ed interagire. Dal mero punto di vista patrimoniale-economico, i diritti e gli obblighi, che fanno capo ad un soggetto, possono, di regola, sopravvivere al titolare e vi è la necessità di regolarli.
In tal senso, il Diritto si preoccupa di ordinare aspetti dell’evento morte, solo ad una prima analisi, più “triviali”, legati alla sistemazione del patrimonio del defunto.
In realtà, tali aspetti sono densi di significato, perché possono involgere non solo la sistemazione di interessi meramente economici, ma direttrici fondamentali come la famiglia, la proprietà privata, la libertà individuale.
Gli interessi privatistici-individuali sono intrecciati con gli interessi generali di certezza e di continuità dei traffici economici. Il loro bilanciamento dipende da precise impostazioni sociali, politiche e culturali.
Nonostante la morte della persona fisica, alcuni rapporti, soprattutto quelli a carattere patrimoniale, permangono e in linea teorica, con riguardo alla loro sorte, sono ipotizzabili almeno tre diverse soluzioni:
1) alla morte del soggetto lo Stato raccoglie il contenuto di questi rapporti, o
2) i beni che ne formano oggetto diventano res nullius, oppure
3) i rapporti stessi sono trasmessi ad altro soggetto, che ne diventa titolare nella stessa posizione del defunto.
Delle tre soluzioni, l’ordinamento italiano ha accolto l’ultima: l’istituto della successione rimane congegnata come manifestazione del diritto di proprietà, escludendo l’attribuzione alla collettività dei rapporti vacanti a seguito della morte del loro titolare, se non in ipotesi estrema e residuale2.
La possibilità che il patrimonio venga trasferito ad altri soggetti, magari della cerchia famigliare (piuttosto che divenire res nullius o essere acquisito dallo Stato), dovrebbe essere di stimolo e di incentivo per lo sviluppo e l’incremento del patrimonio stesso, a vantaggio non solo del singolo, ma, in un’ottica di più ampio respiro, dell’intera comunità economico-sociale fino allo Stato3.
Nel nostro ordinamento l’art. 47 Cost. sancisce che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, scopo tradito se si ammettesse la perdita o la dispersione del patrimonio a seguito dell’evento morte, non essendo tutto ciò di stimolo alla conservazione e all’incremento della ricchezza.
È così rintracciabile l’esigenza sociale di conservazione e continuazione dei rapporti giuridici, assicurando dunque le legittime posizioni dei creditori e più in generale di evitare non solo una verosimile distruzione o immobilismo di ricchezza (una sorta di “mano morta”), ma anche il disordine nei rapporti giuridici (se il patrimonio andasse disperso divenendo res nullius), riconoscendo meritevole di tutela anche l’autonomia privata del disponente. Uno degli scopi fondamentali della Legge è assicurare la certezza dei rapporti giuridici e la loro ordinata disciplina, quindi la pace sociale tra i consociati4.
Invero, poi, il Diritto non è completamente indifferente ad aspetti che trascendono il campo economico-sociale, per afferire ad aspetti più “umani”, espressione di una pietas che esula da considerazioni patrimonialistiche.
Il Legislatore assicura e tutela la volontà del de cuius circa la destinazione delle proprie spoglie mortali. Si pensi ai principî fissati dall’art. 3 della L. 30 marzo 2001 n. 130 sulle Disposizioni in tema di cremazione e dispersione delle ceneri.
A livello penale, il Legislatore ha previsto i delitti contro la pietà dei defunti agli artt. 407-413 cod. pen. (violazione di sepolcro, violazione delle tombe, turbamento di un funerale o servizio funebre, vilipendio di cadavere, distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, occultamento di cadavere, uso illegittimo di cadavere), peraltro procedibili d’ufficio. In tali casi, non è riscontrabile un interesse privato sulle proprie spoglie (di un soggetto che ormai non c’è più), ma sembra rilevare la pietas che involge l’entità che rivestì la persona5.
Nell'ordinamento italiano la disciplina della successione a causa di morte è contenuta essenzialmente nel Codice civile, che dedica all'istituto il Libro II (rubricato "Delle successioni"). Alla disposizioni generali, contenute nel Titolo I, seguono la disciplina della successione legittima (Titolo II) e della successione testamentaria (Titolo III), mentre gli ultimi due titoli trattano della divisione e delle donazioni.
Non si può sottacere, poi, che nel nostro ordinamento il testamento, per quanto rappresenti il veicolo principe per disporre delle proprie sostanze per il tempo successivo alla propria morte, non lo si può immiserire a tale visione, essendo consentito regolare una pluralità di interessi a carattere non patrimoniale.
Come noto, il testamento è un negozio giuridico unilaterale non recettizio, formale, revocabile, personale, unipersonale, a titolo gratuito e tendenzialmente patrimoniale. Ai sensi dell’art. 587 cod. civ., è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
Aggiunge il capoverso che le disposizioni di carattere patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale.
Emerge, così, il carattere della tendenziale patrimonialità del negozio mortis causa.
Proprio il riconoscimento della volontà concernente non solo i beni, ma anche interessi non patrimoniali, induce a ritenere (anche se non in modo pacifico) che l’accezione di testamento, accolta dal legislatore, non sia solo il concetto ristretto (espressione della volontà dispositiva dei beni, comma 1, art. 587), ma anche quello ampio (possibilità di racchiudere disposizioni di ultima volontà che possono anche non ripercuotersi sui beni): testamento come nozione unitaria di negozio volto a regolare una pluralità di interessi, patrimoniali e non, post mortem6.
Circa l’importanza di tali disposizioni non patrimoniali, si pensi alle disposizioni sulla propria sepoltura, al riconoscimento di figlio naturale (art. 254 cod. civ.), alla dichiarazione di volontà di legittimare un figlio naturale (art. 254 comma 2 e art 285 comma 1 cod. civ.), alla designazione del tutore del protutore (artt. 348 comma 1, 355 e 345 comma 1 cod. civ.) o del tutore dell’interdicendo e del curatore dell’inabilitando (artt. 424 comma 3 cod. civ.), alla dichiarazione di riabilitazione dell’indegno (art. 466 comma 1 cod. civ.), piuttosto che alla confessione (art. 2735 cod. civ.), per non parlare delle decisioni sul diritto morale di autore, delle sorti della corrispondenza e di altri scritti di carattere personale e confidenziale del defunto.
Quale strumento di attuazione e di valorizzazione di interessi variegati post mortem, il testamento costituisce un istituto socialmente rilevante, ove il legame volontà-sentimento dell’uomo è quanto mai presente, forte e rilevante7.
Nel sistema codicistico la successione è un modo di acquisto (a titolo derivativo) della proprietà (art. 922 cod. civ.), coerentemente col concetto di diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo (art. 832 cod. civ.).
A livello Costituzionale l’art. 42 co. 4 Cost. demanda al legislatore ordinario la regolamentazione della successione legittima e di quella testamentaria: si profila, così, l’istituto della successione per causa di morte, istituto che, da un lato, presuppone l’altro istituto della proprietà e, dall’altro, si ricollega all’istituto familiare, nonchè al rispetto dell’ultima volontà del defunto, sullo sfondo rimanendo la particolare e residuale ipotesi della successione dello Stato8.
Infatti, ammesse la proprietà privata, la trasmissione ereditaria e la libertà testamentaria, quest’ultima non è assoluta, essendo contemperata dal principio della successione familiare, prevista e disciplinata dal Legislatore ordinario. Il solidarismo familiare impone di riservare una parte del patrimonio ai congiunti più stretti (con imputazione di quanto ricevuto dal de cuius in vita per donazione).
Anche la successione legittima mira a destinare la ricchezza a favore della cerchia famigliare, coniuge e parenti prossimi. Ancora a titolo esemplificativo, si pensi alla revocazione di diritto del testamento per sopravvenienza di figli (art. 687 cod. ci.) oppure all’assegno spettante ai figli naturali non riconoscibili (artt. 580 e 594 cod. civ.).
La molteplicità degli interessi sottostanti il diritto ereditario ripropone la dialettica tra libertà e norma9.
Il delicato bilanciamento di tutti gli interessi finora esposti (peraltro, convergenti ed armonizzati) entra, forse, in una nuova dimensione in seno all’Unione Europea, quasi di evoluzione dall’ottica patrimoniale-individuale, passando per la visione sociale del fenomeno successorio.
A livello europeo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea di Nizza del 2000 all’art. 17 sul diritto di proprietà e sotto il Titolo dedicato alle Libertà espressamente afferma che ogni individuo ha il diritto di godere dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Dunque, pare affermato un nuovo collegamento tra proprietà e libertà, un’idea di proprietà quale espressione di libertà, frutto di un percorso evolutivo europeo, di innovazione rispetto al secolo precedente e al concetto di diritto sociale.
Il nuovo collegamento tra proprietà e libertà, affermato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è l’evoluzione di un principio già in nuce non tanto nella CEDU (del 4 novembre 1950, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955 n. 842 ora “comunitarizzata” dal Trattato di Lisbona ex artt. 6 e 47), la quale si limita a riconoscere il diritto alla libertà e alla sicurezza, i diritti di libertà individuale e collettiva senza menzionare espressamente il diritto di proprietà, quanto nel primo Protocollo aggiuntivo del 20 marzo 1952 art. 1, ove si legge ogni persona fisica o morale ha diritto pieno al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà salvo che per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto intenzionale.
Qui l’ottica era nel rapporto proprietà-libertà, quindi come limite all’espropriazione.
Nella Carta di Nizza si sviluppa l’idea di proprietà espressione di libertà. Non si tratta di un ritorno ad un’idea liberal-ottocentesca di proprietà come libertà. Non si tratta di fondamentalizzare i diritti soggettivi, rendendoli tutti fondamentali (così annacquandoli), ma di bilanciarli. Oggi la proprietà nel diritto europeo non è libertà, ma strumento di libertà, da bilanciare con altri diritti fondamentali (non a caso una norma rilevante a tal fine è il divieto di abuso di diritto sancito dall’art. 54 della Carta).
Di regola, tornando all’argomento principale, si trasmettono i soli diritti patrimoniali. A questi, poi, fanno eccezione alcuni diritti patrimoniali intrasmissibili (ad esempio i diritti reali di uso o abitazione legati alla vita del titolare; i rapporti intuitus personae come il contratto di mandato, di lavoro subordinato e d’opera; i rapporti patrimoniali legati allo status famigliare, come il diritto agli alimenti)10.
Vi sono, poi, posizioni attive che si estinguono con la morte del loro titolare, come i diritti della personalità e i rapporti e gli stati famigliari11.
Cosa diversa è che l’erede o il successore particolare acquistino diritti a titolo originario, che non esistevano nel patrimonio del defunto. Si tratta di quei diritti originari che nascono per la prima volta in capo all’erede in quanto tale e che, quindi, non trovano nella morte del de cuius la causa dell’acquisto, ma solo il momento del loro venire ad esistenza (si pensi a quanto venga acquistato iure proprio, in base ad un contratto condizionato alla morte di una persona)12.
L’erede acquista, inoltre, alcuni diritti a titolo originario che non esistevano nel patrimonio del defunto: pensiamo al diritto di acquistare l’eredità, o a rinunziarvi; al diritto a richiedere la riduzione, se legittimari; al diritto di rappresentazione o di accrescimento. Per non tacere, poi, degli obblighi che nascono ex novo (ad esempio, i diritti – legati ex lege – spettanti ai figli naturali non riconosciuti, ex artt. 580 e 594 cod. civ.).
Diversa è l’ipotesi di continuazione in un diritto: tale è il caso del possesso, in cui il successore non subentra al de cuius, ma ne continua solo l’esercizio (art. 1146 cod. civ.). In questa ipotesi, tuttavia, si hanno sempre due possessi.
Da quanto detto si può concludere che funzione pratica della successione è di provvedere alla sorte del patrimonio che permane, nonostante la morte del suo titolare.
Dal punto di vista giuridico, invece, essa si riallaccia alla figura della successione in generale, importando il subentro di un determinato soggetto in uno o più rapporti che restano oggettivamente immutati13.
L’immutabilità oggettiva dei rapporti che si trasmettono mortis causa può dirsi fenomeno pacifico nella dottrina14, solo una voce si è levata contro in quanto un valente Autore15 ha affermato che l’erede acquisterebbe rapporti nuovi, pur se d’identico (azioni contrattuali di adempimento, risoluzione e rescissione, azione di risarcimento del danno, azione a difesa dei diritti reali etc.), e dall’altra, una tutela nuova, nel senso che non spettava al defunto (l’azione di riduzione contro la lesione di legittima, l’accettazione con beneficio d’inventario, l’azione di collazione, l’azione di divisione e la petizione d’eredità, che rappresenta la sua più rilevante tutela).
Quanto, poi, ai legittimarî, il codice prevede una tutela specifica, denominandola “della reintegrazione della quota riservata ai legittimari” o azione di riduzione.
Questa teoria, tuttavia, non è accettabile: a parte, infatti, la considerazione che non ve n’è traccia nella legge, ove si ammettesse una trasformazione nei rapporti stessi, dovrebbe anche ammettersi il venir meno delle garanzie ad essi inerenti (arg. ex art. 1275), il che, almeno secondo il nostro ordinamento, è inconcepibile.
Cosa diversa è l’acquisto di diritti a titolo originario, che non esistevano nel patrimonio del de cuius, cui si è accennato poco sopra.
Da quanto detto si può affermare che la morte non è solo quell’evento naturale a cui si ricollega l’apertura della successione, ma è il fatto giuridico, il titolo cui si ricollega la successione stessa.
1 EPICURO, Lettere e massime, traduzione di A. Carretta e L. Samarati, Editrice La Scuola, Brescia.
2 NICOLÒ R., voce Erede (dir. priv.), in Enc. Dir., XV, Milano, 1966, pag. 196; De CUPIS A., voce Successione ereditaria (dir. priv.), in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990, pag. 1258.
3 KOZIOL-WELSER, Bürgerliches Recht, Band II: Schuldrecht Allgemeiner Teil, Schuldrecht Besonder Teil, Erbrecht, 13. Auflage, Manz, Wien, 2007, pag. 441 e ss.].
4 NATALE A., Autonomia privata e diritto ereditario, Padova, 2009, pagg. 4 e ss.; BONILINI G., Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1993, pag. 16-17; NICOLÒ, Erede cit., pag. 196; De CUPIS,Successione cit., pag. 1258; TATARANO M.C., Il testamento, v. VIII, t. 4, in Trattato di diritto civile delConsiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingeri, Napoli, 2003, pagg. 2-4, nonché pagg. 13-16.
5 TRABUCCHI A., Istituzioni di diritto civile, Padova, 2004, pag. 271.
6 BONILINI, Nozioni di diritto ereditario, 2ª ed., Torino, 1993, 87-98. Quanto al concetto ampio di testamento, che può raccogliere disposizioni di ultima volontà dispositive e meno dei beni, non è questa la sede per affrontare lo specifico problema. Siano consentiti i primi riferimenti: MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Milano, 1962, pagg. 96 e ss.; BONILINI, Nozioni cit., pagg. 87-98; TRABUCCHI, Istituzioni cit., pag. 418; ZATTI, Manuale di diritto civile, Padova, 2009, pag. 1149, che parla, con riferimento al contenuto patrimoniale, di funzione primaria dell’atto. Contra, nel senso di testamento come negozio a causa di morte con esclusiva natura patrimoniale, CAPOZZI, Successioni e donazioni, t. 1, Milano, 2009, pagg. 745-746.
7 BONILINI, voce Testamento, in Digesto civ., XIX, Torino, 1999, 340
8 MESSINEO F., Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, IX ed., Milano, 1962, pag. 3; CARAMAZZA G. , Del le success ioni tes tamentar ie, Libro I I art . 587-712, in Commentario teor ico-prat ico al codice civi le, di ret to da Vi t tor io De Martino, Novara, 1973, pag. 4; ampl ius, BONILINI G., Concetto, e fondamento, della successione mortis causa, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, vol. I, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, pagg.30-40, nonchè D’ALOIA A., La successione mortis causa nella Costituzione, ibidem, pagg. 43 ess].
9 NATALE, Autonomia cit., passim.
10 Diffusamente, BONILINI G., Introduzione a l’oggetto della successione, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, vol. I, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, pagg. 295 e ss.].
11 Apparenti eccezioni sono la tutela del diritto morale di autore affidata ai congiunti prossimi (in quanto tali, a prescindere dalla qualità di erede) ex artt. 20 e 20 L. 22.4.1941 n. 633, nonché le azioni di stato di disconoscimento di paternità (art. 246 c.c) o di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per violenza o interdizione (art. 267 cod. civ.): in realtà in queste ipotesi i congiunti agiscono iure proprio e non iure hereditatis.
12 BURDESE, voce Successione, II) Successione a causa di morte, in Enc. Giur. Treccani, vol. XX,Roma, 1993, pag. 2.
13 MESSINEO, op. cit., pag. 4. Il concetto di successione per causa di morte, poi, non coincide e non è coperto dal concetto di successione in generale, sol pensando che:
- il successore potrebbe non essere destinatario di un trasferimento o titolare di un acquisto (ad esempio nel legato di rimessione di debito, legato di cosa dell’onerato, legato che abbia ad oggetto un facere o un non facere dell’onerato);
- a rigore nel caso di acquisto derivativo-costitutivo non si verifica una successione traslativa;
- il successore può trovarsi a dover adempiere ad obbligazioni alle quali il defunto non era tenuto (i c.d. debiti dell’eredità, piuttosto che gli obblighi imposti dal testatore);
- in generale nella successione mortis causa non si verifica un’alienazione da parte del dante causa, piuttosto un trasferimento o trasmissione, che non implica un atto del titolare originario (potendo operare la successione ex lege) e non integra un atto inter vivos.
14 Per tutti, v. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1971. pag.89 e ss.; ALLARA, Le vicende del rapporto giuridico e le loro cause, Torino, 1939, pag. 39; CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, vol. I: parte generale, Napoli 1959, tomo I pag. 34; BARBERO D., Sistema del diritto privato italiano, vol. II, Torino, 1962, pag. 858-859; MESSINEO, op. cit., pag. 4.
15 NATOLI, L’Amministrazione dei beni ereditari, vol.I, Milano 1968, pag. 88 e ss.



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