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lunedì 10 marzo 2014

Dichiarazione di successione integrativa per Rimborso credito IRPEF

Il credito IRPEF del defunto NON deve essere indicato nella dichiarazione di successione principale.


Questa affermazione deve essere chiara sin dall'inizio per evitare delle inutili beghe nel corso degli anni.

Come per ogni credito da riscuotere, è necessario che il fisco italiano provveda ad effettuare tutte le verifiche del caso. Solo quando il credito sarà certo, l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate competente invierà una comunicazioni agli eredi con la quale chiederà di presentare la documentazione necessaria per emettere il rimborso in questione.

Nella documentazione necessaria, oltre alla dichiarazione sostitutiva con la quale si indica la qualifica di erede ed, ovviamente, la lettera con la quale si indica il codice IBAN proprio per avere la somma di danaro.

Con la modifica della legge di stabilità 2015 non è piu necessario presentare la dichiarazione di successione integrativa, ma sara a carico dell'ufficio emettere un avviso di liquidazione in caso di imposta di successione.
vedi https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=1750082416617564732#editor/target=post;postID=7641070175579548923;onPublishedMenu=posts;onClosedMenu=posts;postNum=0;src=postname


Ai sensi dell'art. 12 d.lgs. 346/90 i crediti dello Stato accertati ed esigibili non rientrano nella base imponibile dell'imposta di successione. 



venerdì 7 febbraio 2014

sabato 1 febbraio 2014

Rateizzazione imposta di successione

 E' possibile rateizzare il pagamento dell'imposta di successione (art. 38 TUS) in seguito alla modifica proposta dal dlgs 159/2015 art.7 in un numero massimo di 8 rate.
L'istanza va presentata entro 60 giorni dalla data di notifica dell'avviso di liquidazione all'Ufficio competente. Sugli importi dilazionati sono dovuti gli interessi a scalare nella misura del 1% annui, che decorrono dalla data di concessione della dilazione. Il contribuente decade dal beneficio se non provvede al pagamento entro 60 giorni dalla data di notifica dell'avviso. È tuttavia facoltà dell'amministrazione concedere una nuova dilazione.
Si ricorda che tutti gli eredi sono obbligati al pagamento dell'imposta complessiva dovuta (art. 36 TUS)2 da loro e dai legatari, sia per la parte globale che per le loro quote; il coerede che ha accettato con il beneficio d'inventario è obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta solo nel limite della propria quota ereditaria.



2Eccezion fatta per i legatari che rispondono sino a compensazione del legato ricevuto.



Il dibattito “pro e contro l'imposta di successione”


Imposta di successione sì o no? Il dibattito dell'ultimo "Pro e contro" organizzato dalla rivista online "lavoce.info", nell'ambito del Festival dell'Economia di Trento, non poteva essere più vivace, al punto da segnare significativi scostamenti nel voto del pubblico prima e dopo la discussione. Se inizialmente i favorevoli erano al 45% e i contrari al 43%, al termine del dibattito non vi erano dubbi: il 67% degli astanti si sono pronunciati a favore di questa imposta patrimoniale, perché può contribuire a redistribuire la ricchezza e in definitiva a raggiungere una società più equa. A confrontarsi Graziella Bertocchi (favorevole), professoressa presso la Facoltà di Economia dell'Università di Modena e Reggio Emilia, e Alessandro De Nicola (contrario), presidente dell'Adam Smith Society, moderati da Alberto Orioli, vicedirettore de "Il Sole 24 Ore", e introdotti da Tullio Jappelli, professore di Economia all'Università di Napoli e direttore del CSEF, Centre for Studies in Economics and Finance. – 
Il primo voto del pubblico, non orientato dal dibattito, ha visto i favorevoli all'imposta di successione al 45%, i contrari al 43% e gli astenuti all'11%.
Quindi la parola è passata a Tullio Jappelli, professore dell'Università diNapoli, che ha illustrato le peculiarità dell'imposta di successione e il suo iter in Italia rispetto a quello di altri paesi. Questa imposta era stata abolita nel 2001 e pertanto per tutte le successioni che si sono aperte dopo tale data e fino al 2006 non veniva più versata. Con la nuova finanziaria del governo Prodi è stata reintrodotta, ma in forma attenuata: è stata infatti elevata la franchigia a un milione di euro per successioni tra genitori e figli e a centomila euro per successioni tra fratelli, l'aliquota è del 4%.
A favore dell'imposta di successione Graziella Bertocchi, che ha portato alcuni esempi autorevoli, come Luigi Einaudi e Warren Buffet (il secondo uomo più ricco del mondo):
"Attualmente l'imposta di successione è ai minimi storici - ha commentato Bertocchi - nei fatti è pagata solo dai più ricchi e colpisce non il reddito bensì il patrimonio che, in Italia, è distribuito in modo molto più diseguale del reddito. La disuguaglianza della ricchezza si sta allargando: in Italia la ricchezza è infatti ampiamente ereditaria e non è dovuta al merito, ovvero alla capacità individuale di produrre reddito e risparmiare. Siamo in una situazione ingessata. L'imposta di successione ha un intento redistributivo e favorisce equità sociale".
Incisiva l'arringa di Alessandro De Nicola, che è partito da alcuni esempio autorevoli, come Adam Smith padre della moderna economia, per smontare la tesi proposta da Graziella Bertocchi:
"La tassa di successione è costruttivista, ovvero è imposta da politici e burocrati per i loro fini. È inefficiente, perché non c'è nessuno certezza che possa contribuire a redistribuire la ricchezza o ad aumentare la mobilità sociale, anzi alcuni paesi del Nord Europa dove la mobilità è fra le più alte hanno abolito questa tassa. Senza considerare che favorisce l'evasione fiscale, presenta elevati costi di enforcement e causa una diminuzione dello stock complessivo di ricchezza con evidenti ripercussioni sugli investimenti - ha commentato De Nicola -. È ingiusta ed iniqua perché abbiamo già pagato le tasse, abbiamo versato l'imposta di registro, le imposte sul reddito, in questo paese che è quello con la maggiore tassazione".
Infine, prima della seconda votazione, le domande dei 30 studenti del focus group, selezionati in tutta Italia, che hanno fornito spunti interessanti al dibattito.
La seconda votazione del pubblico ha incoronato la tesi di Graziella Bertocchi: il 67% dei presenti si è pronunciato a favore dell'imposta di successione, rispetto al 31% dei contrari, solo il 2% gli astenuti.
In chiusura Marco Malgarini ha presentato una ricerca ISTAT del maggio 2011 su un campione di 2.000 italiani, selezionati su base geografica e demografica.
Leggermente diversa la domanda presentata al campione di intervistati, ai quali è stato chiesto di rispondere se si era a favore di una maggiore progressività dell'aliquota dell'imposta di successione, ovvero di una tassa più elevata per i patrimoni maggiori. Il 53% ha risposto positivamente, il 36% si è detto contrario, il 9% si è astenuto e il 2% si è rifiutato di rispondere.

Poche le differenze fra gli intervistati con figli o senza figli, mentre significative le differenze a seconda del tasso di scolarizzazione: il 74% dei laureati ha infatti risposto di essere favorevole all'imposta, rispetto al 50% delle persone in possesso del diploma.

Imposte di successione per i beni cultural & la presunzione del 10%

 Ai sensi del combinato disposto degli artt.12 e 13 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n.346, i beni culturali soggetti a vincolo non concorrono a formare l’attivo ereditario che costituisce (ex art.9 del medesimo D.Lgs. n.346/1990) la base imponibile del tributo successorio.
L’art.12, lett.g), infatti, esclude espressamente i beni culturali indicati al successivo articolo 13. Si tratta dei beni sottoposti al vincolo di cui alla legge 1° giugno 1939, n.1089 (ora sostituita dal D.Lgs 42/2004) previsto anteriormente all'apertura della successione e sono stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione.
L'erede o legatario è così tenuto a presentare l'inventario dei beni vincolati che ritiene non debbano essere compresi nell'attivo ereditario, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene l'esistenza del vincolo e l'assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione. L'attestazione deve essere presentata all'ufficio del registro in allegato alla dichiarazione della successione.
Contro il rifiuto dell'attestazione è ammesso ricorso al Ministro, il quale decide sentito il Consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali; la decisione di accoglimento del ricorso deve essere presentata in copia, entro trenta giorni dalla sua comunicazione, all'ufficio del registro competente, che provvede al rimborso dell'eventuale maggiore imposta pagata.
L'alienazione in tutto o in parte dei beni di cui al comma 1 prima che sia decorso un quinquennio dall'apertura della successione, la loro tentata esportazione non autorizzata, il mutamento di destinazione degli immobili non autorizzato e il mancato assolvimento degli obblighi prescritti per consentire l'esercizio del diritto di prelazione dello Stato determinano l'inclusione dei beni nell'attivo ereditario. L'amministrazione dei beni culturali e ambientali ne dà immediata comunicazione all'ufficio del registro competente; dalla data di ricevimento della comunicazione inizia a decorrere il termine di cui all'art.27, comma 3 o comma 4.
Nella fattispecie in commento il legislatore ha preferito rinunciare integralmente al proprio gettito.
Ciò è avvenuto in virtù di una valutazione di matrice puramente economica. Si è scelto, infatti, di non gravare di alcuna imposta coloro che, indipendentemente dalla propria volontà, hanno ricevuto un bene vincolato in successione o donazione. Per questi, infatti, a fronte della possibilità di godimento del patrimonio ricevuto, sia pur con i numerosi limiti individuati nel Codice dei beni culturali, si prospetta la necessità di interventi periodici ed obbligatori a tutela della conservazione dei beni. Per questo motivo, i benefici del godimento di un immobile vincolato vengo, nell’ottica del legislatore, sterilizzati dai costi imputabili alla gestione e manutenzione dell’immobile stesso. Detta valutazione vale, quindi, a giustificare l’introduzione della norma in rassegna, senza che questa possa destare dubbi in merito ad un suo eccessivo favor nei confronti di eredi e donatari.
In questo caso, infatti, la capacità contributiva manifestata dal destinatario viene profondamente ridimensionata dagli esborsi futuri richiesti.
Se nell'attivo ereditario sono compresi beni immobili culturali di cui all'art. 13, non sottoposti anteriormente all'apertura della successione al vincolo previsto nell'art. 2 della legge 1 giugno 1939, n.1089, l'imposta dovuta dall'erede o legatario al quale sono devoluti é ridotta dell'importo proporzionalmente corrispondente al 50% del loro valore.
L'erede o legatario deve presentare l'inventario dei beni per i quali ritiene spettante la riduzione, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene l'esistenza delle caratteristiche di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089; l'attestazione deve essere allegata alla dichiarazione della successione. L'accertamento positivo delle caratteristiche di cui alla predetta legge comporta la sottoposizione dell'immobile al vincolo ivi previsto. Si applicano le disposizioni dell'art. 13, commi 3, 4 e 5.
Per quanto interessa in questa sede, l'articolo 9 del Tus, dopo aver precisato che l'attivo ereditario è costituito da tutti i beni e i diritti che formano oggetto della successione, esclusi quelli specificamente esentati dall'imposta, dispone che denaro, gioielli e mobilia si presumono compresi nell'attivo ereditario "per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell'asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore".
Inoltre, la norma prevede che tale presunzione non si applica qualora l'esistenza di detti beni risulti, per un importo diverso (dal 10% dell'asse), da inventario analitico redatto a norma dell'articolo 769 e seguenti del Codice di procedura civile.
Pertanto, in mancanza di un inventario, è necessario appurare in quale modo va calcolata la percentuale del 10%, posto che nel caso in esame il contribuente ha comunque inserito in dichiarazione una parte dei beni oggetto della presunzione.
In tale particolare situazione, la Cassazione, partendo dal tenore letterale della disposizione ("si considerano compresi"), sottolinea la circostanza che la medesima disposizione fa riferimento, ai fini dell'applicazione del 10%, a quei beni non dichiarati e non a quelli già inseriti in dichiarazione anche in assenza di inventario.
D'altro canto, una differente lettura della norma porterebbe a una disparità di trattamento (e al pagamento di una maggiore imposta evidentemente non voluta dal legislatore) dei soggetti che dichiarano parte del denaro, gioielli e mobilia rispetto a chi non dichiara affatto i predetti beni, accettando passivamente l'applicazione della presunzione del 10 per cento.
Pertanto, la Cassazione1 afferma che, in tale ipotesi, il 10% andrà calcolato sui beni facenti parte dell'attivo ereditario al netto del denaro, gioielli e mobilia già dichiarati.
Sulle modalità applicative di cui all'articolo 9 del Tus, si ricorda che l'Amministrazione finanziaria è intervenuta con la risoluzione 212/1995. In tale documento di prassi, viene evidenziato che la presunzione in argomento è di tipo relativo e che, per quanto riguarda la redazione dell'inventario, è necessario soltanto che il predetto documento abbia tutti i requisiti sostanziali e formali richiesti dal Codice civile e dal Codice di procedura civile e che, pertanto, non occorrerà che la redazione dello stesso sia preceduta dall'apposizione di sigilli. E' necessario, cioè, che l'inventario sia compilato con l'osservanza delle norme prescritte dall'articolo 775 Cpc e che contenga la esatta descrizione di tutti i mobili di appartenenza del de cuius.

1Sentenza del 25/02/2008 n. 4751 Corte di Cassazione

La nuova imposta di successione.

 L'art. 2, commi 47 e seguenti, della legge 24 novembre 2006, n. 286 (in Suppl. ord. n. 223 alla G.U. n. 277 del 28 novembre 2006), di conversione del d.l. 3 ottobre 2006, n.262 (in G.U. n. 230 del 3.10.2006), ha ripristinato l'imposta sulle successioni, a decorrere da quelle aperte a partire dal 3 ottobre 2006. E' quindi venuta meno, retroattivamente, la diversa disciplina già dettata dall'art. 6 del medesimo decreto legge n. 262/2006. La disciplina suindicata è stata, poi, ulteriormente modificata - sempre con decorrenza dal 3 ottobre 2006 - dall'art. 1, commi da 77 a 79, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (in G.U. n. 299 del 27 dicembre 2006), in vigore dal 1° gennaio 2007.
L'imposta sulle successioni trova la propria disciplina nel d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001; ciò significa che tutte le successive aggiunte e modifiche, inserite nel corpo del medesimo testo unico, sono irrilevanti e devono essere considerate come non scritte.
La struttura dell'imposta sulle successioni è, salve le diverse aliquote ora previste, sostanzialmente quella risultante dalle modifiche apportate al t.u. dalla legge n. 342/2000 (su cui cfr. la Circ. Min. Fin. 16 novembre 2000 n. 207/E); in particolare, l'imposta di successione non colpisce - a differenza di quanto avveniva prima del 2000 - l'asse ereditario globale, ma unicamente le singole attribuzioni in capo ad eredi o legatari.
La nuova imposta sulle successioni riguarda tutti i beni e diritti, mobiliari ed immobiliari, oggetto di trasferimento, salve le eccezioni espressamente previste dalla legge. Comprende quindi, ad esempio, oltre al denaro, qualsiasi tipo di rapporto bancario, saldi di conti correnti, titoli, quote di fondi comuni di investimento ed altri valori mobiliari (per i quali, pertanto, le banche, ai sensi dell'art. 48 t.u., dovranno nuovamente richiedere agli eredi prova della presentazione della dichiarazione di successione, salvo che nell'ipotesi di esenzione dall'obbligo di presentazione della dichiarazione, ex art. 28, comma 7, t.u.).
Per l'imposta sulle successioni è prevista una franchigia in tre casi (art. 2, commi 48 e 49-bis, del d.l. n. 262/2006):
  1. nei trasferimenti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta, fino all'importo,
  1. per ciascun beneficiario, di 1.000.000 di euro;
  1. nei trasferimenti a favore dei fratelli e delle sorelle fino all'importo, per ciascun beneficiario, di 100.000 euro;
  2. nei trasferimenti a favore di persona portatrice di handicap riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992 n. 104, fino all'importo di 1.500.000 euro.
L'art. 2, comma 51, del d.l. n. 262/2006, prevede il successivo aggiornamento di tali franchigie, con cadenza quadriennale, con decreto ministeriale, tenendo conto dell'indice del costo della vita.
In relazione alla previsione dell'art. 2, comma 49-bis, del d.l. n. 262/2006 (soggetti con handicap riconosciuto grave), la franchigia si applica a prescindere da qualsiasi rapporto di parentela con il de cuius. Il rinvio alla legge n. 104/1992 comporta l'applicazione dell'art. 3 di quest'ultimo provvedimento: per cui "è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione" (art. 3, comma 1); "qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità" (art. 3, comma 3). Ai sensi del successivo art. 4 della legge n. 104/1992, "gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all'articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali", con le ulteriori modalità prescritte nel medesimo articolo.
Tuttavia, ai fini delle agevolazioni fiscali, deve riconoscersi, in conformità ai principi generali dettati dal d.p.r. n. 445/2000, la possibilità di autocertificare la situazione di grave handicap mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio (da allegarsi alla dichiarazione di successione).
L'art. 1, comma 78, della legge n. 296/2006 - come modificato dall'art. 1, comma 31, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 - ha poi introdotto un'ipotesi di totale esenzione da imposta sulle successioni, aggiungendo il comma 4-ter all'art. 3 del d. lgs. n. 346/1990. In particolare, ai sensi di quest'ultima disposizione, i trasferimenti successori a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta. Ove nell'azienda siano compresi beni immobili, il richiamo dell'art. 3 del d. lgs. n. 346/1990 da parte degli artt. 1, comma 2, e 10, comma 3, del d. lgs. n. 347/1990 comporta, altresì, l'esenzione da imposte ipotecarie e catastali.
Trattandosi di quote sociali o azioni di società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile.
Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l'esercizio dell'attività d'impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell'imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall'art. 13 del d. lgs. n. 471/1997 e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l'imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata.
Coordinando la disposizione in esame con quella contenuta nel comma 48, deve ritenersi che, nell'ipotesi in cui i discendenti o il coniuge non rendano, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione, la dichiarazione di impegno a proseguire l'attività di impresa, si applica il trattamento ordinario (e quindi la franchigia di 1.000.000 di euro); con la conseguenza che, allorché il valore dell'azienda o delle partecipazioni sociali, unitamente a quello degli altri cespiti oggetto di successione sia di sicuro inferiore alla suddetta franchigia, non vi sarà alcuna convenienza ad usufruire dell'esenzione in oggetto.
Le agevolazioni per la prima casa sono applicabili, nei termini previsti dall'art. 69, commi 3 e 4, della legge 21 novembre 2000, n. 342, e quindi in base alle regole ed alla relativa interpretazione precedentemente applicate (risultando così superata la diversa disciplina contenuta nel d.l. n. 262/2005, nel testo anteriore alla conversione in legge).1
In relazione alla franchigia per i beni devoluti al coniuge o a parenti in linea retta, la relativa disciplina deve essere coordinata con le previsioni del testo unico, che prevedono da un lato che non vi è obbligo di dichiarazione se l'eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l'attivo ereditario ha un valore non superiore ad euro 25.822,84, e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, salvo che per effetto di sopravvenienze ereditarie queste condizioni vengano a mancare (art. 28, comma 7, del d. lgs. n. 346/1990); dall'altro, che chi omette di presentare la dichiarazione della successione è punito, se non è dovuta imposta, con la sanzione amministrativa da euro 258,23 ad euro 1.032,91 (art. 50 del d. lgs. n. 346/1990)2. Ne consegue che nelle suddette successioni a favore del coniuge o di parenti in linea retta, in cui non siano compresi beni immobili, esiste l'obbligo di presentazione della dichiarazione, anche se non vi è obbligo di pagamento di imposta, anche se il valore è inferiore ad un milione di euro.
Sono pertanto da distinguersi - ricorrendo la fattispecie della successione avente ad oggetto beni e diritti diversi dagli immobili, a favore di parenti in linea retta e coniuge, tre casi:
  1. attivo ereditario di valore non superiore ad euro 25.822,84, alle condizioni di cui sopra: non deve essere presentata la dichiarazione, né pagata alcuna imposta (o sanzione);
  2. attivo ereditario di valore superiore ad euro 25.822,84 fino ad euro 1.000.000: occorre presentare la dichiarazione (a pena di sanzioni), ma non deve essere pagata alcuna imposta;
  3. attivo ereditario di valore superiore ad euro 1.000.000: deve essere presentata la dichiarazione, e pagata l'imposta di successione.
Le nuove aliquote (previste dall'art. 2, commi 48 e 49-bis, del d.l. n. 262/2006) sono le seguenti:
  1. Successione avente ad oggetto beni (mobili o immobili) e diritti di qualsiasi natura, devoluta a favore del coniuge o di parenti in linea retta:
      1. Imposta di successione: 4 % (sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, euro 1.000.000)
      2. Imposta ipotecaria: 2% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
      3. Imposta catastale: 1% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
  2. Successione avente ad oggetto aziende o partecipazioni sociali a favore dei discendenti, che si impegnano a proseguire l'attività d'impresa o a detenere il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data di apertura della successione:
Imposta di successione: esente
      1. Imposta ipotecaria: esente
      2. Imposta catastale: esente
  1. Successione avente ad oggetto beni (mobili o immobili) e diritti di qualsiasi natura, devoluta a favore di fratelli e sorelle:
      1. Imposta di successione: 6 % (sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, euro 100.000);
      2. Imposta ipotecaria: 2% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
      3. Imposta catastale: 1% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
  2. Successione avente ad oggetto beni (mobili o immobili) e diritti di qualsiasi natura, devoluta a favore di parenti fino al quarto grado e di affini in linea retta, nonché di affini in linea collaterale fino al terzo grado (con esclusione del coniuge, dei parenti in linea retta, dei fratelli e sorelle):
      1. Imposta di successione: 6 %
      2. Imposta ipotecaria: 2% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
      3. Imposta catastale: 1% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
  3. Successione avente ad oggetto beni (mobili o immobili) e diritti di qualsiasi natura, devoluta a favo re di parenti oltre il quarto grado, e di affini in linea collaterale oltre il terzo grado, nonché a favore di estranei:
      1. Imposta di successione: 8 %
      2. Imposta ipotecaria: 2% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
      3. Imposta catastale: 1% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
  4. Successione avente ad oggetto beni (mobili o immobili) e diritti di qualsiasi natura, devoluta a favore di persone fisiche con handicap riconosciuto grave:
      1. Imposta di successione: l'aliquota applicabile in base al rapporto di parentela, affinità o coniugio (sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, euro 1.500.000)
      2. Imposta ipotecaria: 2% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
      3. Imposta catastale: 1% (sul valore degli immobili) - oppure 168 se prima casa per almeno uno dei beneficiari (€ 200 se la data di apertura della successione è dopo il 01/01/2014)
  5. Terreni agricoli o montani (art. 14, comma 2, legge n. 383/2001):
      1. Come nei precedenti punti 6, con la precisazione che il totale delle imposte ipotecarie e catastali applicate in misura fissa sugli immobili dell’asse ereditario costituiti da terreni agricoli o montani non può comunque eccedere il valore fiscale dei terreni medesimi.
  6. Terreni e fabbricati di ogni tipo devoluti a favore di enti pubblici o altri enti previsti dall'art. 3 del D. Lgs. n. 346/1990:
      1. Imposta di successione: esente
      2. Imposta ipotecaria: esente
      3. Imposta catastale: esente
  7. Titoli del debito pubblico, tra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro, nonché gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati e ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti da imposta da norme di legge:
      1. Imposta di successione: esente.
Ai sensi dell'art. 69, comma 7, della legge n. 342/2000, le disposizioni antielusive di cui all'articolo 37-bis del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 si applicano, ad esclusione delle condizioni contenute nel comma 3 del medesimo articolo, anche con riferimento all'imposta sulle successioni.
Pertanto, ai sensi del comma 1 del suddetto art. 37-bis, "sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti". A norma del successivo comma 2, "l'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione".
Peraltro, a norma dell'art. 37-bis, comma 8, "le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi".
La nuova disciplina relativa all'imposta di successione si applica alle successioni apertesi a partire dal 3 ottobre 2006 (art. 2, comma 53, del d.l. n. 262/2006; art. 1, comma 79, della legge n. 296/2006).
Permane l'obbligo di autoliquidazione, da parte degli eredi e legatari, delle sole imposte ipotecarie e catastali, dell'imposta di bollo e delle tasse ipotecarie (introdotto dall'art. 11 del d.l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140).
L'imposta di successione è, invece, liquidata dall'ufficio (art. 33 del d. lgs. N 346/1990). E' stata abrogata (art. 2, comma 52, lett. b, del d.l. n. 262/2006) la previsione della possibilità di anticipato pagamento dell'imposta sulle successioni (già contenuta nell'art. 12, commi 1-bis e 1-ter, del t.u.).
E' abrogato (art. 2, comma 52, lett. a, del d.l. n. 262/2006) l'art. 7, comma 2-quater, del d. lgs. n. 346/1990, ai sensi del quale le disposizioni di cui ai commi 2 e 2-bis (che prevedevano le precedenti franchigie) non si applicavano qualora il beneficiario si fosse avvalso delle previsioni dell'articolo 56, commi 2 e 3 t.u. (che a loro volta disciplinano il "coacervo", ai fini dell'erosione della franchigia, tra più donazioni), nei limiti di valore di cui avesse usufruito della franchigia medesima. L'art. 7, comma 2-quater, t.u., introdotto dall'art. 69 della legge n. 342/2000, mirava quindi a risolvere il problema del coacervo, sempre ai fini dell'erosione della franchigia, tra le donazioni effettuate in vita e la devoluzione successoria; ciò in quanto l'art. 8, comma 4, t.u. (che ancor precedentemente prevedeva il coacervo ai fini della determinazione delle aliquote, quando queste ultime erano fissate in misura progressiva), doveva intendersi implicitamente abrogato a seguito dell'eliminazione della progressività dell'imposta di successione. L'abrogazione dell'art. 7, comma 2-quater, t.u., sembrerebbe quindi comportare l'inapplicabilità del coacervo tra donazioni e successione; ma tale interpretazione appare irragionevole, poiché detto coacervo opera tra donazioni per effetto dell'art. 57 t.u. Nel dubbio, appare comportamento prudente indicare nella dichiarazione di successione gli estremi delle donazioni effettuate a favore dei beneficiari della successione medesima (ivi comprese le donazioni effettuate nel periodo intercorrente tra il 25 ottobre 2001 ed il 2 ottobre 2006).
Nella dichiarazione di successione non devono essere invece indicati i beni alienati dal defunto negli ultimi sei mesi (a terzi, ovvero anche ai beneficiari della successione, con atti non liberali): la relativa previsione, già contenuta nell'art. 10 del d. lgs. n. 346/1990, è stata abrogata dall'art. 69 della legge n. 342/2000.
L'art. 2, comma 52, lettere a) e c), del d.l. n. 262/2006 abroga le previsioni dell'art. 7, commi da 1 a 2-ter, e dell'art. 56, commi da 1 a 3, del t.u., in quanto assorbiti dalla nuova disciplina delle aliquote e delle franchigie.
Il medesimo art. 2, comma 52, lettera d), del d.l. n. 262/2006 dispone l'abrogazione del solo art. 13, ma non degli artt. 14 ss. della legge n. 383/2001. Pertanto:
  • rimane in vigore il disposto dell'art. 14, comma 2, della legge n. 383/2001, ai sensi del quale "il totale delle imposte di registro, ipotecarie e catastali applicate in misura fissa sugli immobili dell'asse ereditario costituiti da terreni agricoli o montani non può comunque eccedere il valore fiscale dei terreni medesimi" (la disposizione sembra doversi applicare unicamente alle imposte ipotecarie e catastali, esclusa l'imposta di successione);
  • ai sensi dell'art. 15, comma 2, della legge n. 383/2001, "per gli immobili inclusi nella dichiarazione di successione l'erede ed i legatari non sono obbligati a presentare la dichiarazione ai fini dell'imposta comunale sugli immobili (ICI)3. L'ufficio presso il quale è presentata la dichiarazione di successione ne trasmette una copia a ciascun comune nel cui territorio sono ubicati gli immobili";
  • a norma dell'art. 15, comma 3, della suddetta legge n. 383/2001, "nel caso in cui il defunto era residente all'estero, l'ufficio finanziario competente a ricevere la dichiarazione di successione è quello nella cui circoscrizione era stata fissata l'ultima residenza italiana; se quest'ultima non è conosciuta, l'ufficio competente è quello di Roma".
A proposito del realizzo di plusvalenze, occorre inoltre rilevare quanto segue:
  1. Cessione di immobili acquistati o costruiti da meno di cinque anni: ai sensi dell'art. 67, lett. b), del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, non sono soggette a tassazione nel caso di immobili acquisiti per successione per causa di morte;
  2. Cessione di fabbricati risultanti da lottizzazione di aree: ai sensi dell'art. 68, comma 2, del d.p.r. n. 917/1986, riguardante le plusvalenze da lottizzazione, per i terreni di cui alla lettera a) comma 1 dell'articolo 67 acquistati oltre cinque anni prima dell'inizio della lottizzazione o delle opere si assume come prezzo di acquisto il valore normale nel quinto anno anteriore; il costo dei terreni stessi acquisiti gratuitamente e quello dei fabbricati costruiti su terreni acquisiti gratuitamente sono determinati tenendo conto del valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione o delle opere ovvero a quella di inizio della costruzione;
  3. Cessione di terreni edificabili: sempre ai sensi dell'art. 68, comma 2, del d.p.r. n. 917/1986, per i terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, acquistati per effetto di successione mortis causa, si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonché dell'imposta di successione;
  4. Cessione di partecipazioni sociali e di valori mobiliari: relativamente alle plusvalenze realizzate mediante cessione di partecipazioni sociali e valori mobiliari, indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter) del comma 1 dell'articolo 67 del d.p.r. n. 917/1986, ai sensi del successivo art. 68, comma 6, nel caso di acquisto per successione si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell'imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione;
  5. Successione nell'azienda e successiva cessione onerosa della stessa: relativamente alla successione nell'azienda, la previsione dell'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001 è ora superata dalla disposizione dell'art. 58, comma 1, del d.p.r. n. 917/1986, come sostituito dal d. lgs. n. 344/2003, ai sensi del quale "il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell'azienda stessa; l'azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa. I criteri di cui al periodo precedente si applicano anche qualora, a seguito dello scioglimento, entro cinque anni dall'apertura della successione, della società esistente tra gli eredi, la predetta azienda resti acquisita da uno solo di essi".
Trovano applicazione le esenzioni da imposta previste dall'art. 3 del d. lgs. n. 346/1990. In particolare:
  1. non sono soggetti all'imposta i trasferimenti a favore dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, né quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità, nonché quelli a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (O.N.L.U.S.) e a fondazioni previste dal decreto legislativo emanato in attuazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461 (art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 346/1990);
  2. i trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelli indicati nel comma 1, non sono soggetti all'imposta se sono stati disposti per le finalità di cui allo stesso comma, quindi l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità (art. 3, comma 2, del d. lgs. n. 346/1990). In tali casi il beneficiario deve dimostrare, entro cinque anni dall'accettazione dell'eredità o dall'acquisto del legato, di avere impiegato i beni o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore. In mancanza di tale dimostrazione esso è tenuto al pagamento dell'imposta con gli interessi legali dalla data in cui avrebbe dovuto essere pagata (art. 3, comma 3, del d. lgs. n. 346/1990);
  3. non sono soggetti all'imposta i trasferimenti a favore di movimenti e partiti politici (art. 3, comma 4-bis, del d. lgs. n. 346/1990, come aggiunto dall'art. 5 della legge 3 giugno 1999, n. 157).
  4. In tutti i suddetti casi, vi è esenzione da imposta sulle successioni ai sensi del menzionato art. 3; vi è altresì esenzione da imposte ipotecarie e catastali (art. 1, comma 2, e art. 10, comma 3, del d. lgs. n. 347/1990).
Ai sensi degli artt. 12 e 13 del d. lgs. n. 346/1990, non concorrono, tra l'altro, a formare l'attivo ereditario:
  • i titoli del debito pubblico, fra i quali si intendono compresi i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro (art. 12, comma 1, lett. h), nonché gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati, nonché ogni altro bene o diritto, dichiarati esenti dall'imposta da norme di legge (art. 12, lett. i);
  • i veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico (art. 12, lett. l);
  • i beni culturali di cui all'art. 13, alle condizioni ivi stabilite (art. 12, lett. g). Si tratta, in particolare, dei beni culturali che siano stati sottoposti al vincolo ivi previsto anteriormente all'apertura della successione e sono stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione. L'erede o legatario deve presentare l'inventario dei beni di cui al comma 1 che ritiene non debbano essere compresi nell'attivo ereditario, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene l'esistenza del vincolo e l'assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione. L'attestazione deve essere presentata all'ufficio del registro in allegato alla dichiarazione della successione o, se non vi sono altri beni ereditari, nel termine stabilito per questa. Contro il rifiuto dell'attestazione è ammesso ricorso gerarchico al Ministro, il quale decide sentito il Consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali; la decisione di accoglimento del ricorso deve essere presentata in copia, entro trenta giorni dalla sua comunicazione, all'ufficio del registro competente, che provvede al rimborso dell'eventuale maggiore imposta pagata.
L'alienazione in tutto o in parte dei beni di cui al comma 1 prima che sia decorso un quinquennio dall'apertura della successione, la loro tentata esportazione non autorizzata, il mutamento di destinazione degli immobili non autorizzato e il mancato assolvimento degli obblighi prescritti per consentire l'esercizio del diritto di prelazione dello Stato determinano l'inclusione dei beni nell'attivo ereditario. L'amministrazione dei beni culturali e ambientali ne dà immediata comunicazione all'ufficio del registro competente; dalla data di ricevimento della comunicazione inizia a decorrere il termine di cui all'art. 27, comma 3 o comma 4 (art. 13).
Trovano altresì applicazione le riduzioni di imposta previste dall'art. 25 del d. lgs. n. 346/1990; in particolare:
  • se la successione è aperta entro cinque anni da altra successione o da una donazione avente per oggetto gli stessi beni e diritti, l'imposta è ridotta di un importo inversamente proporzionale al tempo trascorso, in ragione di un decimo per ogni anno o frazione di anno; se nella successione non sono compresi tutti i beni e diritti oggetto della precedente successione o donazione o sono compresi anche altri beni o diritti, la riduzione si applica sulla quota di imposta proporzionale al valore dei beni e dei diritti compresi in entrambe (art. 25, comma 1, t.u.);
  • se nell'attivo ereditario sono compresi beni immobili culturali, non sottoposti anteriormente all'apertura della successione al vincolo, l'imposta dovuta dall'erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell'importo proporzionalmente corrispondente al cinquanta per cento del loro valore. L'erede o legatario deve presentare l'inventario dei beni per i quali ritiene spettante la riduzione, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene l'esistenza delle caratteristiche di culturalità; l'attestazione deve essere allegata alla dichiarazione della successione. L'accertamento positivo delle caratteristiche di cui alla predetta legge comporta la sottoposizione dell'immobile al vincolo ivi previsto (art. 25, comma 2, t.u.);
  • se nell'attivo ereditario sono compresi fondi rustici, incluse le costruzioni rurali, anche se non insistenti sul fondo, di cui all'art. 39 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, devoluti al coniuge, a parenti in linea retta o a fratelli o sorelle del defunto, l'imposta dovuta dall'erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell'importo proporzionalmente corrispondente al quaranta per cento della parte del loro valore complessivo non superiore ad euro 103.291,38. La riduzione compete a condizione che l'erede o legatario sia coltivatore diretto, che la devoluzione avvenga nell'ambito di una famiglia diretto-coltivatrice e che l'esistenza di questi requisiti risulti da attestazione dell'ufficio regionale competente allegata alla dichiarazione della successione. È diretto-coltivatrice la famiglia che si dedica direttamente e abitualmente alla coltivazione dei fondi e all'allevamento e governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore al terzo di quella occorrente per le normali necessità della coltivazione del fondo e dell'allevamento e del governo del bestiame; ai fini del calcolo della forza lavorativa il lavoro della donna è equiparato a quello dell'uomo (art. 25, comma 3, t.u.);
  • se nell'attivo ereditario sono compresi immobili o parti di immobili adibiti all'esercizio dell'impresa, devoluti al coniuge o a parenti in linea retta entro il terzo grado del defunto nell'ambito di una impresa artigiana familiare, come definita dalla legge 8 agosto 1985 n. 443, e dall'art. 230-bis del codice civile, l'imposta dovuta dall'erede o legatario al quale sono devoluti è ridotta dell'importo proporzionalmente corrispondente al quaranta per cento della parte del loro valore complessivo non superiore ad euro 103.291,38, a condizione che l'esistenza dell'impresa familiare artigiana risulti dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di cui all'art. 5, comma 4, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 (art. 25, comma 4, t.u.);
  • se nell'attivo ereditario sono compresi, purché ubicati in comuni montani con meno di cinquemila abitanti o nelle frazioni con meno di mille abitanti anche se situate in comuni montani di maggiori dimensioni, aziende, quote di società di persone o beni strumentali di cui all'art. 40 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, trasferiti al coniuge o al parente entro il terzo grado del defunto, l'imposta dovuta dal beneficiario è ridotta dell'importo proporzionale corrispondente al quaranta per cento della parte del loro valore complessivo, a condizione che gli aventi causa proseguano effettivamente l'attività imprenditoriale per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento. Il beneficiario deve dimostrare detta condizione entro sessanta giorni dalla scadenza del suindicato termine mediante dichiarazione da presentare presso l'ufficio competente ove sono registrate la denuncia o l'atto; in mancanza di tale dimostrazione il beneficiario stesso è tenuto al pagamento dell'imposta in misura ordinaria con gli interessi di mora, decorrenti dalla data in cui l'imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata. Per il pagamento dell'imposta di successione relativa all'ipotesi di cui al presente comma si applicano le disposizioni previste dall'art. 38 (art. 25, comma 4-bis, t.u.).
Ai sensi dell'art. 9, comma 2, del d. lgs. n. 346/1990, "si considerano compresi nell'attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell'asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore, salvo che da inventario analitico redatto a norma degli articoli 769 e seguenti del codice di procedura civile non ne risulti l'esistenza per un importo diverso". Ai sensi del successivo comma 3, si considera mobilia l'insieme dei beni mobili destinati all'uso o all'ornamento delle abitazioni, compresi i beni culturali non sottoposti al vincolo. Alla luce dell'attuale struttura dell'imposta sulle successioni, deve ritenersi che la presunzione debba essere riferita al valore relativo alla quota devoluta a ciascun beneficiario (come già precisato nella Circ. Min. Fin. 16 novembre 2000 n. 207/E).
Il valore dei beni immobili è determinato, ai sensi degli artt. 14 e 34 del d. lgs. n. 346/1990, tenendo conto del loro valore venale in comune commercio, e relativamente ai fabbricati iscritti al catasto dei fabbricati ed ai terreni non edificabili, è possibile avvalersi della c.d. valutazione automatica (su base catastale).
Relativamente ad aziende e partecipazioni in società, non rileva il valore di avviamento (cfr. gli artt. 15 e 16 del d. lgs. n. 346/1990, come modificati dall'art. 69, comma 1, della legge n. 342/2000; e l'art. 1, comma 78, della legge n. 296/2006, che ha aggiunto il n. 1-bis all'art. 8 del d. lgs. n. 346/1990).
Nella dichiarazione di successione devono essere indicate le passività deducibili (artt. 20 ss. t.u.), ivi comprese in particolare le spese mediche e funerarie; queste ultime, in particolare, se risultanti da regolari quietanze sono deducibili in misura non superiore ad euro 1.032,91 (art. 24 t.u.).
Il termine per la presentazione della dichiarazione è - ai sensi dell'art. 31, comma 1, del d. lgs. n. 346/1990, come modificato dall'art. 1, comma 78, lett. c), della legge n. 296/2006 - di un anno dall'apertura della successione (o dagli altri eventi indicati al comma 2 del medesimo art. 31).
Trovano nuovamente applicazione anche altre disposizioni del testo unico, e segnatamente:
  1. la disciplina della dilazione di pagamento dell'imposta di successione (art. 38 t.u.);
  2. la disciplina dei divieti ed obblighi a carico del notaio e di terzi, in particolare per quanto riguarda questi ultimi, riguardo ai beni mobili e debiti nei confronti degli eredi del defunto (art. 48 t.u.);
  3. la disciplina relativa alla apertura di cassette di sicurezza (art. 48, comma 6, t.u.).
1 Cfr., sul punto, la Circ. Agenzia Entrate 7 maggio 2001 n. 44/E.
2Vedi anche “Cassata la sanzione per ritardata presentazione della dichiarazione di successione.

3Oggi IMU

L'imposta di successione: storia di un tributo complesso


Se si prescinde dalla vigesima hereditatum di Augusto (7 d.C.) e da tributi presenti anche negli Stati italiani della prima età moderna (come il “quintello” veneziano del 1565), il moderno prelievo sulle successioni nacque nel 1704 in Francia come una costola dell’imposta di registro. Il semplice compenso per il servizio di autenticazione e datazione dei testamenti fu trasformato in un’imposta sulle quote ereditarie articolata per grado di parentela, “avuto riguardo alle considerazioni morali che fanno giudicare maggiore il vantaggio che si acquista, se minore e meno legittima era l’aspettativa di lucro, e più lontana o inesistente affatto la relazione di famiglia e di parentela”, come avrebbe sintetizzato uno stampato parlamentare italiano del 1863.
L’esempio francese1 fece scuola in quasi tutta Italia durante il periodo napoleonico. Dopo la Restaurazione, sei dei sette Stati preunitari avevano un’imposta modellata su quella d’oltralpe; se ne distingueva solo il Regno delle Due Sicilie, dove vi erano lievi diritti fissi sui testamenti. Laddove era applicato, il prelievo subiva comunque un temperamento (spesso l’esenzione) sui trasferimenti in linea retta: “prevaleva il concetto che i beni ereditari non fossero oggetto atto alla tassazione, e specialmente che fosse cosa arbitraria, non del tutto legittima toccare i diritti successorii dei membri della famiglia2. Con l’Unità si estese a tutto il paese il sistema piemontese, ritenuto il più oneroso di tutti, se non altro perché colpiva anche all’interno del nucleo familiare. La prima legge del 1862 (legge 585) risultò molto esosa e fu corretta nel 1866 (regio decreto 3121), dopo l’emanazione del nuovo codice civile. Da allora si sono succeduti almeno un settantina di provvedimenti, di cui riassumiamo le caratteristiche principali.
In questi 150 anni vi sono stati tre tipi di tributi. Alla forma classica di prelievo sulle singole quote degli eredi, sopra accennata, si aggiunse nel 1942 (Rdl 434) l’imposta applicata all’intera eredità prima della divisione in quote (e detta per questo “imposta sul morto”). Le due imposte furono fuse nel 1972 (Dpr 637) in una sola “a due stadi” (estesa anche ai beni all’estero): il prelievo sul valore globale era l’unico dovuto fra coniugi e parenti in linea retta, mentre per tutti gli altri eredi si applicava anche quello sulle quote. La riforma del 2000 (legge 342) cancellò anche questo residuo, ripristinando la sola imposta sulle quote; questa fu abolita nel 2001 (legge 383) per coniugi e parenti fino al 4° grado e reintrodotta nel 2006 (Dl 262). Ebbe invece vita breve, dal 1919 (Rdl 2163) al 1923, la tassa successoria complementare che colpiva con aliquote dal 5% al 10% i beni devoluti a eredi in linea collaterale o non imparentati, destinatari di una quota non inferiore a 200mila lire dell’epoca (circa 250mila euro odierni) e titolari di un patrimonio di importo non minore.
Nel complesso i tre prelievi hanno visto 23 scale d’aliquota. Dopo le prime cinque tariffe proporzionali, nel 1902 (legge 25) ne fu adottata una progressiva, la prima di tutto il nostro sistema tributario. La ragione di tale scelta, come scritto nella relazione, era l’esigenza di “portare un elemento di più giusta distribuzione nel carico tributario affidato com’è questo ad imposte reali(sui redditi; n.d.r.) rigide e inadatte alla progressione, o ad imposte indirette (accise e dazi di consumo; n.d.r.) per sé stesse inversamente progressive”. La funzione redistributiva fu accentuata con il passaggio nel 1914 (Rd 1042) alla progressività per classi, cioè sull’intera quota ereditaria; le complesse regole volte a evitare bruschi salti d’imposta al passaggio fra classi trasformarono l’imposta, secondo Einaudi, in un vero e proprio “rompicapo contabile”.
Con la riforma del 1923 3ci fu un deciso cambiamento: fu reintrodotta la progressività per scaglioni e, soprattutto, fu stabilita l’esenzione per tutti i trasferimenti fra coniugi, in linea retta e fra parenti fino al terzo grado compreso. Tale novità sopravvisse nella sua versione originale fino al 1930 (Rdl 431), quando la politica demografica del regime fascista portò prima a limitare l’esenzione ai trasferimenti all’interno di famiglie con più di un figlio e poi (Rdl 1749/1935) a introdurre un complicato sistema di maggiorazioni e riduzioni collegate a stato civile e numero di figli del defunto e degli eredi.
Nel secondo dopoguerra si eliminarono tanto l’esenzione nel nucleo familiare quanto i meccanismi demografici (Dll 90/1945 e legge 206/1949). I due prelievi vigenti, decisamente inaspriti, furono coordinati, disponendo che l’importo di quella sul valore globale fosse prima ripartito fra gli eredi e quindi dedotto dalla singola quota ereditaria. Dopo la fusione dei due tributi e delle relative scale progressive nel 1972, si ebbero solo modifiche secondarie, fino al 2000, quando si tornò a un prelievo proporzionale con un’esenzione, per coniuge e figli, di 350 milioni di lire per erede; le aliquote sono state ripristinate nella stessa misura nel 2007, con l’esenzione nel nucleo familiare portata a 1 milione di euro per erede.
Numerose le addizionali applicate nel corso del tempo: da quelle belliche del periodo post unitario e del primo conflitto mondiale a quelle per terremoti e alluvioni, passando per il contributo agli enti comunali di assistenza, durato dal 1937 al 1972. Una forma di sostanziale prelievo al 100% può essere considerato il progressivo restringersi della definizione di parenti chiamati a succedere, con conseguente avocazione allo Stato dell’eredità negli altri casi di successione senza testamento: dal dodicesimo grado previsto dal codice albertino si passò al decimo con il primo codice civile italiano per giungere all’attuale sesto nel 1916 (Dll 1686).
I criteri di valutazione sono stati in linea di massima ispirati al principio del valore commerciale, ma con diversi temperamenti ed eccezioni.
  1. Per gli immobili furono adottati dapprima il valore locativo (1862-1866), pari a venti volte l’affitto netto, effettivo o presunto, e poi un valore automatico (1866-1874), costituito da un multiplo dell’imposta fondiaria; la successiva adozione del valore commerciale (legge 1947/1874) non ha impedito tentativi di semplificazioni amministrative, come l’uso di tabelle provinciali (1902-1911) o la fissazione di un minimo imponibile (1930), quest’ultimo realizzatosi con la regola, adottata dal 1986 (legge 880), della rinuncia del fisco ad accertamenti se il valore dichiarato è pari a un multiplo della rendita catastale (ad esempio, 110 per la “prima casa”).
  2. Per i titoli si ricorre da sempre a valori di mercato ritraibili dai listini, con l’eccezione dei titoli di Stato, esentati a partire dal 1893 in base alle singole leggi di emissione e poi, dal 1963, con il testo unico sul debito pubblico (Dpr 1343).
  3. Per le aziende, solo dal 1918 (Dll 629) è prevista la separata descrizione di aziende e quote di partecipazione; per contro, l’avviamento è stato esentato da imposta nel 2000 e nel 2006 è stata introdotta un’esenzione (condizionata) per i trasferimenti di aziende familiari.
  4. Una semplificazione amministrativa da sempre adottata riguarda i beni mobili personali, valutati a forfait come percentuale del restante attivo ereditario, percentuale passata nel tempo dal 3% al 10%, man mano che tra tali beni rientravano, oltre alla mobilia, anche gioielli e contante.
Ovviamente non mancarono regole anti evasione. Alcune hanno accompagnato sin dall’inizio la storia del tributo, diventandone parte costitutiva: è il caso dell’estensione del prelievo alle donazioni e delle condizioni per la deducibilità dei debiti (certezza, liquidità, forma dell’atto, data anteriore, eccetera). Altre si sono sviluppate successivamente come risposta a problemi di accertamento sorti lungo la storia del tributo.
  1. Nel 1887 (legge 4072) si stabilì per l’erede l’impossibilità di agire in giudizio o presso la pubblica amministrazione senza la prova della denuncia e del pagamento dell’imposta.
  2. L’anno successivo ha inizio la trafila di norme volte a “catturare” i cespiti più sfuggenti (benché nella realtà economica sempre più rilevanti), vale a dire titoli e altre attività finanziarie. Le regole erano per lo più divieti o obblighi imposti a terzi, come emittenti, intermediari o pubblici ufficiali: divieto di consegna agli eredi (legge 5515/1888), divieto di annotazione nei libri degli emittenti (legge 486/1895) e divieto di “traslazioni” di rendite in mancanza di denuncia (legge 509/1911); obbligo di giustificare all’ufficio del registro qualità e valore di cose depositate (Rd 5603/1888), tenuta di un registro dell’apertura di cassette di sicurezza (Rdl 2163/1919). Le soluzioni a questo problema presero anche la forma di spin-off normativi “esterni” alla disciplina delle successioni, come gli inasprimenti dell’imposta di negoziazione per i titoli al portatore e la previsione della nominatività obbligatoria. Nonostante ciò, l’imposta ha continuato a gravare in prevalenza sugli immobili (68% dell’asse ereditario nel 1885-86, 84% nel 2000).
  3. Dal 1902 l’imposta fu applicata anche alle somme già oggetto di donazione e al beneficiario di un’eventuale rinunzia da parte dell’erede; dal 1916 (Dll 1058) furono tassate le vendite simulate tra parenti, se il prelievo successorio risultava superiore a quello dovuto per il trasferimento.
  4. Nel 1918 (Dll 629) il fisco acquisì il diritto di consultare i libri contabili delle aziende anche ai fini dell’accertamento dell’imposta di successione e di utilizzare le informazioni acquisite per definire le imposte sui redditi; nello stesso anno (Dll 575) fu aggiunta la trascrizione obbligatoria dei testamenti e di successioni comprendenti beni immobili.
Quale l’importanza dell’imposta?
Idealmente, l’imposta era tenuta in grande considerazione in epoca liberale (Mill) anche nella sua forma progressiva (Say, Wagner, Sax): in Italia, Giulio Alessio sosteneva nel 1887 che “l’imposta può provvedere ad impedire eccessive accumulazioni o a regolare in modo più equo la ricchezza privata”, descrivendola come un “quasi omaggio” al principio che “la ricchezza dell’uomo si ottiene per mezzo del lavoro” proprio e non altrui. La riforma del 1923 si accompagnò a un ripensamento in direzione opposta: il fascismo antepose “un senso di doveroso rispetto all’istituto famigliare, anche nel suo elemento patrimoniale” (così la relazione governativa) al principio liberale di eguaglianza dei punti di partenza e preferì considerare l’imposta un ostacolo alla creazione di ricchezza, anziché un correttivo.
Scientificamente, a cavallo tra Ottocento e Novecento il tributo fu strumento di studi “macroeconomici”: era utilizzato per stimare la “ricchezza nazionale” (intesa allora come patrimonio, non come reddito), moltiplicando gli attivi rilevati per il tempo medio intercorso fra due successioni. Per questo fu anche la prima imposta per la quale si tentarono stime quantitative dell’evasione, come mostrano i lavori di Corrado Gini e altri. Si può inoltre ricordare il contributo di Eugenio Rignano, discusso anche in altri Paesi, per un prelievo destinato, nell’arco di tre successioni, ad avocare allo Stato l’intera eredità.
Concretamente, il gettito del prelievo è stato massimo (in termini relativi) in epoca liberale quando oscillava per lo più tra lo 0,2 e lo 0,3% del Pil e tra il 2 e il 2,5% del gettito tributario complessivo. Il ridimensionamento ideologico del 1923 si tradusse anche in uno quantitativo, con quote di gettito scese tra 0,05 e 0,1% del Pil e 0,5 e 1% delle entrate. Solo il sistema della doppia imposta e l’aggravio delle aliquote consentì nel secondo dopoguerra una ripresa (rispettivamente 0,15-0,2% del Pil e 1-1,5% delle entrate). Quando, con la riforma del 1972, tali fattori sparirono o si attenuarono, il gettito tornò a scendere, risultando inferiore allo 0,1% del Pil e all’1% delle entrate. Nel 2000 i modesti proventi, comparati con quelli che furono stimati come oneri di gestione, divennero un argomento per sostenere la soppressione del prelievo. Dopo la reintroduzione nel 2007, il gettito si è attestato poco sotto 0,5 miliardi di euro annui, pari a circa lo 0,03% del Pil e lo 0,1% delle entrate tributarie.
Infine, un ultimo cenno merita un aspetto particolare dell’amministrazione del tributo: la remunerazione degli ufficiali del Registro, i funzionari incaricati (fino alla recente unificazione degli uffici) di accertamento e riscossione. Dal 1862 (Rd 612), nel periodo di maggior gettito, il compenso era ad aggio, calcolato cioè sui proventi delle imposte, con percentuali comprese fra 1 e 0,25‰ e con le spese per commessi e uffici a carico degli ufficiali. Nel 1908 (legge 744) fu introdotto un minimo di proventi netti, per evitare penalizzazioni ai funzionari che lavoravano nelle aree più povere. Solo nel 1922 (legge 1290) gli stipendi fissi furono estesi a tutto il personale addetto a Bollo e Registro.
1 legge 22 frimaio dell’anno VII – 12 dicembre 1798
2 Ricca-Salerno

3 Rd 3270, primo testo legislativo separato da quello del registro

lunedì 27 gennaio 2014

La successione dello Stato

 La successione dello stato è un istituto giuridico dell'ordinamento civile italiano che prevede la devoluzione dell'eredità allo Stato italiano nel caso in cui il de cuius, morto intestato, non abbia eredi legittimi fino al sesto grado.
In questo caso l'acquisto opera di diritto senza accettazione e non può essere oggetto di rinunzia. Lo stato non risponde mai dei debiti e dei legati oltre il valore dei beni acquistati. La disciplina è dettata dall'articolo 586 del codice civile.
La ratio di questo tipo di successione a causa di morte va individuata non solo nell’esigenza di supplire alla mancanza di ogni successibile, ma anche nello sfavore del legislatore verso una successione ereditaria non fondata sul lavoro né sul risparmio ed a vantaggio di soggetti non legati al de cuius da stretti rapporti di parentela.
Ciò spiega perché, mentre nel Codice abrogato del 1865 l’eredità si devolveva allo Stato solo in mancanza di congiunti entro il 10º grado, il Codice vigente del 1942 ha ridotto la successione dei parenti entro il 6º grado.
Presupposto della successione dello Stato è una "eredità vacante", fenomeno che ricorre quando manca ogni successibile legittimo e testamentario; la vacanza può anche verificarsi qualora i successibili esistano ma abbiano perduto il diritto di accettare per rinunzia, prescrizione o decadenza.
L’eredità vacante si distingue dall’eredità giacente perché quest’ultima presuppone la possibilità di una futura accettazione: al contrario, quella vacante presuppone accertato in modo definitivo che non vi siano più successibili.
Quanto alla natura giuridica di questa successione, una parte della dottrina (meno recente) riteneva che lo Stato non era né erede né legatario, ma che veniva ugualmente alla successione in quanto aveva la sovranità su tutti i beni situati sul proprio territorio, i quali solo per concessione si ritenevano attribuiti in godimento ai singoli cittadini, e pertanto «alla morte del concessionario i beni ritornavano allo Stato». In contrario, si è osservato che questa teoria non spiega come mai lo Stato non possa riprendere in ogni momento i "suoi" beni, ma debba attendere la mancanza di successibili.
Altra parte della dottrina considera lo Stato come successore a titolo particolare, tenuto soprattutto conto della responsabilità intra vires, del carattere necessario della successione, e della correlativa esclusione del potere di rinunzia.
Dottrina prevalente ritiene che lo Stato sia un vero e proprio successore legittimo e a titolo universale.
La tesi della successione a titolo di erede si basa sulla considerazione che lo Stato acquista l’eredità come universalità: pertanto, la ragione della successione dello Stato è nella sua funzione pubblica, ma questa funzione viene analizzata utilizzando il mezzo tecnico apprestato dal diritto privato, vale a dire la successione a titolo di erede.
L’acquisto dello Stato opera di diritto, senza bisogno di accettazione, e non può farsi luogo a rinuncia (art. 586 del Codice civile). La necessità dell’acquisto importa la limitazione della responsabilità intra vires. La norma che prevede una responsabilità limitata dello Stato (art. 586, comma 2, cod. civ.) non è che l’adattamento alla particolare posizione dello Stato del principio stabilito dall’art. 473 (Codice civile) per le persone giuridiche in genere.
Allo Stato spetta anche il diritto di accettare l’eredità che eventualmente faccia parte del patrimonio del quale lo Stato è erede (art. 479 cod. civ.); naturalmente, questa eredità (=quella contenuta) non si acquista automaticamente, e quindi in linea di principio lo Stato può accettarla o rinunziarvi.
È discusso se si possano trasmettere allo Stato i vantaggi di un’assicurazione sulla vita stipulata dal dante causa a favore degli eredi. La risposta è negativa, poiché ai sensi dell’art. 1920, ultimo comma, cod. civ., questo diritto non fa parte dell’asse ereditario, ma è acquistata dal terzo beneficiario in base al contratto di assicurazione, cioè con un attointer vivos.

Le quote di legittima

 In diritto con il termine successione legittima (Lat. Successio ab intestato) si fa riferimento alla successione che ha luogo quando il defunto (o de cuius) non abbia provveduto a redigere testamento, ovvero, pur avendo redatto il testamento, questo è nullo o annullato ovvero dispone solo per una parte dei beni ovvero solo legati.
La legge stabilisce che l'eredità si devolve:
  • al coniuge,
  • ai discendenti legittimi o naturali,
  • agli ascendenti legittimi,
  • ai collaterali,
  • agli altri parenti entro il sesto grado,
  • e infine allo Stato.
Quote della divisione1 sono diverse a seconda delle persone che sopravvivono al de cuius.
  1. discendenti ma non il coniuge: l'eredità è divisa in parti uguali tra i figli. Se un figlio è premorto e ha a sua volta figli, questi ereditano la parte che gli sarebbe toccata dividendola tra loro sempre in parti eguali, in base al diritto di rappresentazione (Cod. Civ. artt. 467-469). Questo stabilisce che i figli (e, per applicazione ricorsiva dello stesso diritto, tutti i discendenti) subentrano al genitore che non può (per morte o esclusione per indegnità) o non vuole (per rinunzia) succedere. In pratica, tra tutti i discendenti ha luogo una divisione per stirpi, che si contrappone a quellaper linee e per capi che vedremo dopo. Per esempio, se il de cuius ha un figlio vivente e tre nipoti da un figlio premorto, il figlio vivente avrà metà dell'eredità e i nipoti un sesto ciascuno. Non si distingue tra figli naturali, legittimi e legittimati; i figli adottivi ereditano dagli adottanti ma non dai parenti di questi ultimi.
  2. discendenti e coniuge: al coniuge tocca metà dell'eredità se concorre con un solo figlio, un terzo se i figli sono due o più. La divisione tra i figli avviene come nel caso precedente, e vale sempre il diritto di rappresentazione (per i figli, non per il coniuge). Per esempio, se il de cuius lascia il coniuge, due figli (o figlie) e due nipoti da un figlio premorto, al coniuge tocca un terzo, ai figli superstiti due noni ciascuno (un terzo di due terzi) e ai nipoti un nono ciascuno (metà di un terzo di due terzi).
  3. coniuge, ma non discendenti, ascendenti o collaterali: al coniuge va l'intera eredità.
  4. coniuge, ascendenti e/o collaterali, ma non discendenti: al coniuge vanno i due terzi, agli ascendenti e/o collaterali un terzo(art. 582 c.c.). Vedi sotto per la divisione tra questi ultimi.
  5. ascendenti e/o collaterali, ma non il coniuge e discendenti: l'intera eredità è divisa tra ascendenti e/o collaterali. La divisione tra ascendenti e collaterali segue queste regole: in generale, fratelli, sorelle e genitori superstiti ereditano in parti uguali (divisione per capi), ma ai genitori o anche a uno solo tocca almeno metà dell'eredità. Anche per i discendenti dei fratelli e sorelle vale il diritto di rappresentazione. Per esempio, due genitori e un fratello dividono l'eredità in tre parti uguali; un genitore e un fratello in due parti uguali; due genitori e due fratelli in quattro parti uguali; un genitore e due fratelli: metà al genitore, un quarto ai fratelli; due genitori e tre fratelli: un quarto ciascuno ai genitori, un sesto ciascuno ai fratelli. Al posto dei fratelli premorti subentrano i nipoti o loro discendenti (non per capi ma per stirpi nella parte che sarebbe toccata al fratello). Se per morte o rinuncia non ci sono i genitori ma i nonni o altri ascendenti, a loro tocca la parte che sarebbe toccata a un solo genitore (per cui se i nonni concorrono con un solo fratello, a quest'ultimo tocca metà dell'eredità, mentre se concorresse con i due genitori avrebbe solo un terzo). Un solo genitore vivente che accetta l'eredità esclude anche i nonni dell'altra linea (vale cioè il criterio generale che il grado prossimo esclude il più remoto). La divisione si fa tra ascendenti dello stesso grado, e per linee (metà alla linea materna e metà a quella paterna, risalendo ricorsivamente l'albero genealogico): per esempio, se ci sono un nonno paterno e due nonni materni, al primo tocca quanto agli altri messi insieme. Le stesse regole valgono per dividere la quota di un terzo che a genitori e/o ascendenti spetta in presenza del coniuge: in questo caso la quota minima degli ascendenti è un quarto, e quindi quella dei collaterali in presenza di ascendenti si riduce a un dodicesimo complessivamente. I fratelli unilaterali (cioè di padre o madre diversi) hanno la metà deifratelli germani. Per esempio, se il de cuius lascia il padre, la nonna materna, un fratello unilaterale, un fratello germano e due nipoti da un altro fratello germano premorto, il padre avrà metà dell'eredità, la nonna materna nulla, il fratello germano un quinto, il fratello unilaterale un decimo, i due nipoti un decimo ciascuno.
  6. altri parenti fino al sesto grado: qui vale la regola generale per cui i parenti di grado prossimo escludono quelli di grado più remoto, e non vale il diritto di rappresentazione. Pertanto, per esempio, i nipoti e anche i pronipoti (che per rappresentazione sono di secondo grado, anche se sarebbero di terzo o quarto) escludono gli zii (che sono di terzo); i cugini (che NON subentrano agli zii perché non vale la rappresentazione) sono esclusi dagli zii. Tra i parenti di pari grado la divisione si fa per capi senza divisione per linee: per esempio, se ci sono due zii materni e tre paterni, ognuno avrà un quinto dell'eredità. In pratica l'ordine di precedenza è il seguente:
  • prima gli zii (terzo grado);
  • poi i (primi) cugini e i prozii (quarto grado);
  • poi i figli dei cugini, i cugini dei genitori (cugini in seconda) e i fratelli dei bisnonni (quinto grado);
  • infine i nipoti abiatici dei cugini, i nipoti abiatici dei prozii (ovvero i secondi cugini), i cugini dei nonni e i fratelli dei bisnonni.dall'eredità legittima.
  • Se nessuno di questi parenti è vivente e non esiste un testamento, l'eredità è devoluta allo Stato. Si noti che gli affini sono sempre esclusi, sia i diretti (genero, nuora, suoceri) sia gli indiretti (cognati ecc.).
Il principio è valido, anche se incontra un importante limite nella disciplina della c.d. Successione necessaria, cioè nelle regole poste a tutela dei c.d. Legittimari.
I legittimari sono i soggetti ai quali spetta il diritto di ricevere una quota minima del patrimonio ereditario, denominata quota “di riserva” o “di legittima”. Si tratta dei soggetti legati dai rapporti familiari più stretti con il de cuius: il coniuge, i figli (e i loro discendenti, in mancanza dei figli), gli ascendenti (nel caso in cui non vi siano figli né altri discendenti).
In primo luogo, quando si parla di successione “necessaria”, non si afferma che il testatore non possa violarne le regole. Il testamento scritto da chi, pur avendo coniuge e figli, decidesse di destinare il suo intero patrimonio ad una fondazione, sarebbe pienamente valido ed efficace. Lo stesso vale per il testamento che, nella stessa ipotesi, contemplasse quale destinatario di disposizioni patrimoniali solo il coniuge, escludendo totalmente i figli (o viceversa).
Il testamento lesivo dei diritti riservati ai legittimari è pienamente valdio ed efficace, ma può essere impugnato dagli stessi legittimari al fine di renderlo parzialmente inefficace nei loro confronti (nella misura necessaria a ricostituire le quote ereditarie loro riservate).I legit timari potrebbero però decidere di rispettare le volontà testamentarie non esercitando alcuna azione a propria tutela
In secondo luogo, le regole della successione necessaria sono costruite in modo tale da lasciare in qualunque caso una quota del patrimonio liberamente disponibile da parte del testatore.
La somma delle quote complessivamente reclamabili da parte dei legittimari non copre mai la totalità del patrimonio (al massimo raggiunge i tre quarti dello stesso).
Al contrario, le regole della successione “per legge” sono dettate per disciplinare la devoluzione dell’intero patrimonio (il legislatore vuole che tutti i rapporti esistenti in capo ad un soggetto si trasmettano ad altri).
La disciplina testamentaria può comprendere tutto il patrimonio o parte di esso. A ben vedere, nessuno è in grado di conoscere con esattezza la intera composizione del patrimonio al momento in cui si verificherà il suo decesso (poiché il patrimonio di chiunque è continuamente soggetto a variazioni: si pensi alla maturazione di interessi su un deposito bancario o su un proprio debito).
Un esempio conclusivo chiarirà i rapporti tra successione per legge, successione testamentaria e successione necessaria. Il testatore, coniugato e con due figli, scrive: “istituisco erede mio figlio Tizio nella quota di due terzi del patrimonio”. Abbiamo un testamento che non “copre” la totalità del patrimonio, quindi nel caso concreto la devoluzione testamentaria concorrerà (per quanto attiene alla parte di patrimonio non contemplata) con la devoluzione legale. L’esito dell’applicazione delle due regole di devoluzione potrebbe poi essere “corretto” alla luce della disciplina della successione necessaria, qualora i legittimari lesi decidessero di agire a propria tutela. Infatti la legge riserva al coniuge un quarto del patrimonio e ai figli complessivamente la quota di un mezzo. Pertanto, sia il coniuge che il figlio non contemplato, parzialmente soddisfatti grazie alla devoluzione legale, avrebbero diritto di agire “in riduzione” contro il figlio istituito erede per rendere parzialmente inefficace nei loro confronti il testamento.
L’esito finale, qualora essi agiscano vittoriosamente (il che dipende anche da altre circostanze, per esempio dal fatto che essi abbiano o meno ricevuto donazioni in vita da parte del testatore), dovrebbe essere questo: al coniuge andrà un quarto del patrimonio, al figlio non citato nel testamento un quarto del patrimonio; la disposizione testamentaria a favore dell’altro figlio si “ridurrà” quantitativamente, dalla quota di due terzi alla quota di un mezzo del patrimonio (di cui un quarto quale quota riservata, e un quarto quale quota disponibile).

1 (Vedi Codice Civile, Libro Secondo, Titolo II: Delle successioni legittime, artt. 565-586)