Il
più grande ostacolo riscontrato nell'evoluzione del diritto tributario
internazionale è dovuto in gran parte alle resistenze degli Stati-Nazioni, i
quali considerano la imposizione fiscale di competenza esclusiva propria.
Per
fortuna, l'importanza dell'economia, spesso, è superiore a quella della
politica. In particolare, per superare questo gap, sono state scritte oltre
2500 convenzioni “bilaterali” che limitano la sovranità nella imposizione
fiscale.
Dette
convenzioni sono atti contenente dichiarazioni di volontà poste in essere da
due parti che, mediante l'atto stesso, disciplinano normativamente rapporti tra
esse intercorrenti. Esse sono, quindi, trattati internazionali conclusi in
forma scritta tra soggetti di diritto internazionale.
La
disciplina relativa al procedimento di formazione ed i requisiti di validità e
di efficacia dei trattati è contenuta nella Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata in Italia con L. n. 112 del 12
febbraio 1974, entrata in vigore il 27 gennaio 1980[1].
I
trattati internazionali, subito dopo esser stati resi direttamente applicabili
all'ordinamento interno, prevalgono sulle norme tributarie interne. Tuttavia,
ai sensi dell'art. 169 del TUIR, il contribuente ha sempre diritto di
rinunciare all'applicazione di una convenzione quando la disciplina domestica risulti
più favorevole.
La nozione prevalente di “doppia imposizione”
internazionale si sviluppa dall'analisi di 4 elementi fondamentali:
1. gli
ordinamenti giuridici nell'ambito dei quali il medesimo fenomeno produce
conseguenze di natura impositiva devono essere sovrani o indipendenti;
2. deve
trattarsi di imposte similari e dunque comparabili;
3. il
presupposto d'imposizione deve essersi verificato nei confronti del medesimo
contribuente (c.d. Identità soggettiva).
4. Il
periodo d'imposta assume rilevanza solo per i tributi riscossi periodicamente e
non occasionalmente.
I
metodi adottati dai vari Paesi per evitare le doppie imposizioni internazionali
sono molto differenti in quanto, normalmente, riflettono le caratteristiche
fondamentali del sistema fiscale di appartenenza.
I
principali metodi di eliminazione o attenuazione della doppia imposizione
attualmente conosciuti sono i seguenti:
· metodo
dell'esenzione dei redditi realizzati all'estero (c.d. Exemption method);
· metodo
del credito d'imposta o dell'imputazione (c.d. Foreign tax credit method);
· metodo
della deduzione dell'imposta estera dal reddito imponibile;
· metodo
dell'aliquota ridotta per i redditi prodotti all'estero;
· metodo
dell'esecuzione con progressione.
Con
riferimento alla disciplina fiscale delle successioni e donazioni possono
sorgere casi di doppia imposizione giuridica qualora la fattispecie concreta
presenti elementi di estraneità con l'ordinamento giuridico nazionale.
Il
fenomeno della doppia imposizione origina, come per le altre imposte, dal fatto
che gli Stati membri possano adottare differenti criteri per individuare la
competenza a sottoporre a tassazione fattispecie che abbiano collegamenti con
diversi Paesi. Ciò accade quando, ad esempio, il de cuius abbia lasciato in
eredità beni localizzati in Stati membri diversi.
Analizzando
i vari ordinamenti europei, tre sono i criteri utilizzati dagli stati membri
per individuare un collegamento tra il territorio dello Stato e la nascita
dell'obbligazione tributaria.
· Alcuni
ritengono determinante la residenza del de cuius;
· alcuni
tengono in considerazione la residenza dell'erede;
· alcuni,
infine, seguono il principio di territorialità, sottoponendo ad imposizione
solo i beni ereditati che si trovano nel proprio territorio, a prescindere
dalla residenza dei due soggetti precedenti.
Nel
nostro ordinamento, si ha una regola molto simile a quella della worldwide
taxation: l'asse ereditario è tassato sulla base del criterio di residenza del
de cuius, ovunque siano ubicati i beni; tuttavia, sono tassati in Italia anche
tutti i beni ivi situati, per se il de cuius non era residente.
In
ambito internazionale, l'OCSE ha elaborato nel 1982 un modello di convenzione
contro le doppie imposizioni con riferimento alle imposte di successione e
donazione che, come per le imposte dirette, costituisce la base per i trattati
bilaterali.
Il
modello di convenzione OCSE del 1982, tuttavia, non ha avuto il seguito e
l'attenzione del modello relativo alle imposte sul reddito e sul patrimonio e,
in più di 30 anni, non è ancora stato modificato.
Il
modello ripartisce la potestà impositiva fra Stato della fonte e Stato della
residenza a seconda del tipo di bene caduto in successione o donato.
Ad
esempio, per i mobili immobili, è prevista l'imposizione nello Stato in cui si
trova l'immobile (art.5); sempre il criterio dello Stato della fonte vale per i
beni mobili facenti capo ad una stabile organizzazione situata in uno Stato
membro (art.6). Per tutti gli altri beni, invece, il modello stabilisce che si
faccia riferimento allo Stato di residenza del de cuius o donante (art.7).
L'Italia
ad oggi ha stipulato solo sette trattati bilaterali contro il fenomeno delle
doppie imposizioni sull'imposta di successione, tra l'altro quasi tutti prima
del citato modello OCSE del 1982:
PAESE
CONTRAENTE
|
STIPULA
|
IN
VIGORE DAL
|
Danimarca
|
L.
18/03/1968, n. 649
|
09/07/68
|
Francia
|
L.
14/12/1994, n. 708
|
01/04/95
|
Grecia
|
L.
18/03/1968, n. 524
|
01/01/64
|
Israele
|
L.
12/04/1973
|
08/08/73
|
Regno
Unito
|
L.
09/08/1967, n. 793
|
09/02/68
|
Svezia
|
L.
13/03/1958, n. 280
|
03/06/58
|
Stati
Uniti
|
L.
19/07/1956, n. 943
|
26/12/56
|
In particolare è ammessa tale detrazione solo se ..."le imposte pagate ad uno stato estero, in dipendenza della stessa successione ed in relazione a beni esistenti in tale stato, fino a concorrenza della parte d'imposta di successione proporzionale a valore dei beni stessi salva l'applicazione di trattati o accordi internazionali".
Allo
scopo di semplificare la disciplina delle successioni internazionali, il 27
luglio 2012 è stato pubblicato sulla gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il
Regolamento Ue 650/2012 del Parlamento del Consiglio, relativo alla competenza,
alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e
degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un
certificato successorio europeo, proposto dalla Commissione europea il 14 ottobre
2009.
La
nuova normativa europea, innanzi tutto, individua il criterio generale per
determinare la competenza giurisdizionale e la legge applicabile alla
successione, nella residenza abituale de defunto. Nella ipotesi in cui dovesse
risultare particolarmente complesso determinare la residenza abituale, è stato
previsto un criterio sussidiario cui fare riferimento, quale la legge dello
Stato in cui il defunto aveva collegamenti “manifestamente più stretti”. É
comunque prevista anche la facoltà di scelta, da parte della persona
interessata, della legge destinata a regolare la propria futura successione,
che potrà essere quella dello Stato in cui tale soggetto ha la cittadinanza al
momento della scelta o quella in cui avrà la cittadinanza al momento della
morte.
Il
nuovo Regolamento europeo, inoltre, detta la disciplina del certificato di
successione europeo: attraverso tale documento l'erede, il legatario,
l'esecutore testamentario o l'amministratore di eredità sono messi in grado di
dimostrare con facilità la loro qualità ed esercitare i propri diritti anche in
un diverso Stato membro, in cui ad esempio si trovano i beni della successione.
I
soggetti anzi citati sono pertanto legittimati a richiedere l'emissione del
documento ai sensi dell'art. 64 del regolamento, che stabilisce che possono
rilasciare il certificato gli organi giurisdizionali, ovvero altre autorità che
in base al diritto nazionale siano competenti a rilasciare il documento e,
quindi, anche i notai.
In
linea con la normativa introdotta dal legislatore comunitario, il Consiglio
Nazionale del Notariato ha avanzato una proposta legislativa volta ad
individuare anche in Italia (come già in Belgio, in Romania, in Austria e in
Francia) un certificato di successione redatto dal notaio, volto a garantire la
conoscibilità delle vicende successorie. Si andrebbe così a colmare una
notevole carenza normativa all'interno del nostro ordinamento. Infatti,
attualmente in Italia un soggetto, per dimostrare la propria qualità di erede,
può sottoscrivere un'autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000 ovvero, in
alternativa, sottoscrivere un atto notorio in cui due soggetti attestano sotto
giuramento le circostanze della successione. L'ordinamento prevedo poi la
formazione della denuncia di successione, che costituisce però un mero
adempimento fiscale e non comporta di per sé alcuna conseguenza sul piano
civilistico. Si ricordi che la presentazione della dichiarazione di successione
non comporta neppure l'accettazione dell'eredità.
[1] Le Convenzioni bilaterali contro le doppie
imposizioni richiedono l'intervento del potere legislativo nell'autorizzare la
ratifica in ragione della modificazione da essa operata nell'ordinamento
tributario interno. Detta modifica è oggetto di riserva di legge di cui all'art.
23 della Costituzione Italiana