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giovedì 19 settembre 2013

L'imposta di successione e la doppia imposizione

Il più grande ostacolo riscontrato nell'evoluzione del diritto tributario internazionale è dovuto in gran parte alle resistenze degli Stati-Nazioni, i quali considerano la imposizione fiscale di competenza esclusiva propria.
Per fortuna, l'importanza dell'economia, spesso, è superiore a quella della politica. In particolare, per superare questo gap, sono state scritte oltre 2500 convenzioni “bilaterali” che limitano la sovranità nella imposizione fiscale.
Dette convenzioni sono atti contenente dichiarazioni di volontà poste in essere da due parti che, mediante l'atto stesso, disciplinano normativamente rapporti tra esse intercorrenti. Esse sono, quindi, trattati internazionali conclusi in forma scritta tra soggetti di diritto internazionale.
La disciplina relativa al procedimento di formazione ed i requisiti di validità e di efficacia dei trattati è contenuta nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969, ratificata in Italia con L. n. 112 del 12 febbraio 1974, entrata in vigore il 27 gennaio 1980[1].
I trattati internazionali, subito dopo esser stati resi direttamente applicabili all'ordinamento interno, prevalgono sulle norme tributarie interne. Tuttavia, ai sensi dell'art. 169 del TUIR, il contribuente ha sempre diritto di rinunciare all'applicazione di una convenzione quando la disciplina domestica risulti più favorevole.
 La nozione prevalente di “doppia imposizione” internazionale si sviluppa dall'analisi di 4 elementi fondamentali:
1. gli ordinamenti giuridici nell'ambito dei quali il medesimo fenomeno produce conseguenze di natura impositiva devono essere sovrani o indipendenti;
2. deve trattarsi di imposte similari e dunque comparabili;
3. il presupposto d'imposizione deve essersi verificato nei confronti del medesimo contribuente (c.d. Identità soggettiva).
4. Il periodo d'imposta assume rilevanza solo per i tributi riscossi periodicamente e non occasionalmente.
I metodi adottati dai vari Paesi per evitare le doppie imposizioni internazionali sono molto differenti in quanto, normalmente, riflettono le caratteristiche fondamentali del sistema fiscale di appartenenza.
I principali metodi di eliminazione o attenuazione della doppia imposizione attualmente conosciuti sono i seguenti:
·  metodo dell'esenzione dei redditi realizzati all'estero (c.d. Exemption method);
·  metodo del credito d'imposta o dell'imputazione (c.d. Foreign tax credit method);
·  metodo della deduzione dell'imposta estera dal reddito imponibile;
·  metodo dell'aliquota ridotta per i redditi prodotti all'estero;
·  metodo dell'esecuzione con progressione.
Con riferimento alla disciplina fiscale delle successioni e donazioni possono sorgere casi di doppia imposizione giuridica qualora la fattispecie concreta presenti elementi di estraneità con l'ordinamento giuridico nazionale.
Il fenomeno della doppia imposizione origina, come per le altre imposte, dal fatto che gli Stati membri possano adottare differenti criteri per individuare la competenza a sottoporre a tassazione fattispecie che abbiano collegamenti con diversi Paesi. Ciò accade quando, ad esempio, il de cuius abbia lasciato in eredità beni localizzati in Stati membri diversi.
Analizzando i vari ordinamenti europei, tre sono i criteri utilizzati dagli stati membri per individuare un collegamento tra il territorio dello Stato e la nascita dell'obbligazione tributaria.
·  Alcuni ritengono determinante la residenza del de cuius;
·  alcuni tengono in considerazione la residenza dell'erede;
·  alcuni, infine, seguono il principio di territorialità, sottoponendo ad imposizione solo i beni ereditati che si trovano nel proprio territorio, a prescindere dalla residenza dei due soggetti precedenti.
Nel nostro ordinamento, si ha una regola molto simile a quella della worldwide taxation: l'asse ereditario è tassato sulla base del criterio di residenza del de cuius, ovunque siano ubicati i beni; tuttavia, sono tassati in Italia anche tutti i beni ivi situati, per se il de cuius non era residente.
In ambito internazionale, l'OCSE ha elaborato nel 1982 un modello di convenzione contro le doppie imposizioni con riferimento alle imposte di successione e donazione che, come per le imposte dirette, costituisce la base per i trattati bilaterali.
Il modello di convenzione OCSE del 1982, tuttavia, non ha avuto il seguito e l'attenzione del modello relativo alle imposte sul reddito e sul patrimonio e, in più di 30 anni, non è ancora stato modificato.
Il modello ripartisce la potestà impositiva fra Stato della fonte e Stato della residenza a seconda del tipo di bene caduto in successione o donato.
Ad esempio, per i mobili immobili, è prevista l'imposizione nello Stato in cui si trova l'immobile (art.5); sempre il criterio dello Stato della fonte vale per i beni mobili facenti capo ad una stabile organizzazione situata in uno Stato membro (art.6). Per tutti gli altri beni, invece, il modello stabilisce che si faccia riferimento allo Stato di residenza del de cuius o donante (art.7).
L'Italia ad oggi ha stipulato solo sette trattati bilaterali contro il fenomeno delle doppie imposizioni sull'imposta di successione, tra l'altro quasi tutti prima del citato modello OCSE del 1982:
PAESE CONTRAENTE
STIPULA
IN VIGORE DAL
Danimarca
L. 18/03/1968, n. 649
09/07/68
Francia
L. 14/12/1994, n. 708
01/04/95
Grecia
L. 18/03/1968, n. 524
01/01/64
Israele
L. 12/04/1973
08/08/73
Regno Unito
L. 09/08/1967, n. 793
09/02/68
Svezia
L. 13/03/1958, n. 280
03/06/58
Stati Uniti
L. 19/07/1956, n. 943
26/12/56

Tale modello OCSE, per fortuna, non è l'unico elemento a sostegno della doppia imposizione; l'art. 26 del D.lgs. 346/90 "Detrazione di altre imposte" consente di portare in detrazione dell'imposta italiana le imposte pagate all'estero (a prescindere si c'è o non c'è una convenzione).
In particolare è ammessa tale detrazione solo se ..."le imposte pagate ad uno stato estero, in dipendenza della stessa successione ed in relazione a beni esistenti in tale stato, fino a concorrenza della parte d'imposta di successione proporzionale a valore dei beni stessi salva l'applicazione di trattati o accordi internazionali".


Allo scopo di semplificare la disciplina delle successioni internazionali, il 27 luglio 2012 è stato pubblicato sulla gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il Regolamento Ue 650/2012 del Parlamento del Consiglio, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, proposto dalla Commissione europea il 14 ottobre 2009.
La nuova normativa europea, innanzi tutto, individua il criterio generale per determinare la competenza giurisdizionale e la legge applicabile alla successione, nella residenza abituale de defunto. Nella ipotesi in cui dovesse risultare particolarmente complesso determinare la residenza abituale, è stato previsto un criterio sussidiario cui fare riferimento, quale la legge dello Stato in cui il defunto aveva collegamenti “manifestamente più stretti”. É comunque prevista anche la facoltà di scelta, da parte della persona interessata, della legge destinata a regolare la propria futura successione, che potrà essere quella dello Stato in cui tale soggetto ha la cittadinanza al momento della scelta o quella in cui avrà la cittadinanza al momento della morte.
Il nuovo Regolamento europeo, inoltre, detta la disciplina del certificato di successione europeo: attraverso tale documento l'erede, il legatario, l'esecutore testamentario o l'amministratore di eredità sono messi in grado di dimostrare con facilità la loro qualità ed esercitare i propri diritti anche in un diverso Stato membro, in cui ad esempio si trovano i beni della successione.
I soggetti anzi citati sono pertanto legittimati a richiedere l'emissione del documento ai sensi dell'art. 64 del regolamento, che stabilisce che possono rilasciare il certificato gli organi giurisdizionali, ovvero altre autorità che in base al diritto nazionale siano competenti a rilasciare il documento e, quindi, anche i notai.
In linea con la normativa introdotta dal legislatore comunitario, il Consiglio Nazionale del Notariato ha avanzato una proposta legislativa volta ad individuare anche in Italia (come già in Belgio, in Romania, in Austria e in Francia) un certificato di successione redatto dal notaio, volto a garantire la conoscibilità delle vicende successorie. Si andrebbe così a colmare una notevole carenza normativa all'interno del nostro ordinamento. Infatti, attualmente in Italia un soggetto, per dimostrare la propria qualità di erede, può sottoscrivere un'autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000 ovvero, in alternativa, sottoscrivere un atto notorio in cui due soggetti attestano sotto giuramento le circostanze della successione. L'ordinamento prevedo poi la formazione della denuncia di successione, che costituisce però un mero adempimento fiscale e non comporta di per sé alcuna conseguenza sul piano civilistico. Si ricordi che la presentazione della dichiarazione di successione non comporta neppure l'accettazione dell'eredità.





[1]                 Le Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni richiedono l'intervento del potere legislativo nell'autorizzare la ratifica in ragione della modificazione da essa operata nell'ordinamento tributario interno. Detta modifica è oggetto di riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione Italiana

caso di studio: Esenzione d'imposta per prosecuzione di attività in caso di società estere


La Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, con la  Circolare n.18/E del 29 maggio 2013, avente ad oggetto “La tassazione degli atti notarili – Guida operativa – Testo unico dell’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”, è intervenuta, tra l’altro, sull’esenzione per i trasferimenti di aziende e partecipazioni sociali.
Sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni, ex art. 3, comma 4-ter, del TUS (così come modificato dall’articolo 1, comma 78, lett. a), della legge finanziaria per il 2007) i trasferimenti di aziende o rami di esse, di azioni e quote sociali, attuati in favore dei discendenti e del coniuge mediante disposizioni mortis causa, donazioni, atti a titolo gratuito o costituzione di vincoli di destinazione, nonché mediante patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile.
L’applicazione del regime di favore di cui all’articolo 3, comma 4-ter, del TUS concerne i trasferimenti a favore dei discendenti o del coniuge di aziende o rami di esse e/o quote sociali e azioni.
Nell’ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano quote sociali o azioni emesse dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del TUIR e cioè “…società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione 
residenti nel territorio dello Stato…”, l’esenzione spetta per il solo trasferimento di partecipazioni “…mediante le quali e acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile”. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 22 gennaio 2008, n.3 ha chiarito, in considerazione del tenore letterale della disposizione in commento, che l’imposta sulle successioni e donazioni non si applica ogniqualvolta il trasferimento riguardi partecipazioni in società di persone, purché, ovviamente, ricorrano gli ulteriori requisiti indicati dall’articolo 3, comma 4-ter, del TUS.
Secondo quanto precisato con la risoluzione 26 luglio 2010, n. 75, la verifica del requisito dell’acquisizione o integrazione del controllo previsto per la fruizione dell’agevolazione in discorso deve essere effettuata anche in considerazione di quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 2359, secondo cui “ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi”.
Per godere dell’agevolazione in trattazione e, altresì, necessario che “… gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso”.
Necessario che gli aventi causa rendano apposita dichiarazione nella dichiarazione di successione circa la loro volontà di proseguire l’attività di impresa ovvero di mantenere il controllo societario.
La DRE della Lombardia ha dato atto che il requisito dell'integrazione o acquisizione del controllo è testualmente richiesto solo nel caso di partecipazioni in società residenti ma ha ritenuto tale mancato richiamo una sorta di svista del legislatore in quanto la non rilevanza di tale requisito comporterebbe “un ingiusta disparità di trattamento a vantaggio della prosecuzione dell'attività”d'impresa con società estere”.
Pertanto, a parere della Direzione Regionale Lombardia, purché rispettati i requisiti richiesti per le società nostrane:
  1. per le quote di società di persona è sufficiente che gli aventi causa proseguano l'attività per almeno 5 anni;
  2. le quote di società di capitali è necessario l'acquisizione o l'integrazione del controllo, oltre all'impegno del mantenimento dello stesso per almeno un quinquennio le società estere godono dello stesso privilegio di esenzione delle società residenti.


lunedì 2 settembre 2013

Caso di studio:bene immobile donato in vita dal decuius ad un erede legittimo.

Il seguente quesito ci consente di esaminare diversi argomenti non necessariamente collegati tra loro, ma che nel quadro generale dell'imposta di successione hanno la loro completezza.

In caso di donazione di bene immobile tra due soggetti, Caio (donante) e Sempronio (donatario),
Sempronio avrà dei limiti nella rivendita del bene poiché se il donante sia ancora in vita, l’acquirente potrebbe essere esposto, dopo la morte del donante, al rischio di dover restituire l’immobile o l’equivalente in denaro, agli eredi legittimari del donatore, risultanti vittoriosi nell’esperimento dell’azione di riduzione della donazione.
Il codice civile ha predisposto un rigoroso meccanismo di tutela in favore degli eredi c.d. legittimari, ovvero coloro ai quali la legge riserva una quota di eredità.
Qualora tramite una donazione si leda una quota a loro riservata, i legittimari possono agire con l’azione di riduzione, diretta a privare di effetti l’atto donativo e, qualora il bene sia stato successivamente alienato dal donatario, possono agire con l’azione di restituzione nei confronti del successivo acquirente del bene.
Il legislatore è intervenuto nel 2005 introducendo due importanti novità: la prima, la fissazione di un termine di prescrizione dell’azione di restituzione, esperibile dai legittimari (vittoriosi nell’azione di riduzione) nei confronti dell’avente causa del donatario.......