In tema di disposizioni testamentarie, la successione mortis causa
può avvenire a titolo universale (attribuendo la qualità di erede)
oppure a titolo particolare (attribuendo la qualità di legatario),
a’ sensi dell’art. 588 Codice Civile. Naturalmente, disposizione
testamentaria: lo strumento tecnico è quello della condizione
risolutiva prevista dall’art. 638 codice civile. Del pari, è
previsto che, in caso di inadempimento dell’onere, l’autorità
giudiziaria possa pronunziare la risoluzione della disposizione
testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore
oppure se l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo
determinante della disposizione (art. 648 cod. civ.).
Utile o opportuna è la designazione di un esecutore testamentario.
Non si può escludere la previsione di una disposizione di
compromettere in arbitri. Fermo il forte dubbio sulla liceità
dell’imposizione di un dato arbitro da parte del testatore e fermo
che la disposizione non potrebbe gravare sui diritti dei legittimarî
giusta la previsione dell’art. 549 cod. civ. (con la conseguenza
che solo per la quota disponibile potranno essere tenuti al rispetto
della previsione testamentaria), si può discutere se il potere di
autonomia testamentaria sia idoneo a sottrarre alla giurisdizione
ordinaria la soluzione della controversia che si lega alla
successione per testamento a favore dell’arbitro.
Tecnicamente tale volontà del testatore potrebbe essere racchiusa in
una condizione dell’istituzione testamentaria non illecita ex art.
634 cod. civ., che potrebbe addirittura essere vantaggiosa per i
successori e comunque non pregiudizievole dei loro diritti. La
qualificazione giuridica della previsione della soluzione arbitrale
delle controversie successorie potrebbe qualificarsi in termini di
legato di contratto oppure di modus. Come esattamente osservato,
questa seconda qualificazione sarebbe da preferire, avendo a mente la
funzione perseguita, ossia il perseguimento di un interesse del
testatore: sullo sfondo rimane il dibattito se, accanto
all’istituzione di erede e legato, possa riconoscersi un ulteriore
meccanismo successorio, intendendo, in particolare, il modus non come
elemento accidentale ed accessorio, ma autonomo.
Sul piano pratico la differenza tra erede e legato non è sempre
chiara e netta, in quanto la definizione legislativa (l’art. 588
cod. civ.), usando il metodo meontologico, qualifica in negativo le
disposizioni a titolo particolare come tutte le altre disposizioni
che non siano quelle a titolo universale, ossia quelle che, qualunque
sia l’espressione o la denominazione usata dal legislatore, non
comprendono l’universalità o anche solo una quota dei beni del
testatore.
È affermazione ricorrente che, mentre l’erede succede
nell’universum ius, il legatario succede a titolo particolare in
uno o più dati diritti reali o in uno o più rapporti determinati
anche se rappresentino la parte cospicua del patrimonio ereditario
invero tale ultima concezione deve essere
specificata, in quanto descrive solo una parte, sia pure normale, del
fenomeno successorio del legatario).
Tuttavia, il capoverso dell’art. 588 cod. civ. specifica che
l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non
esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta
che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del
patrimonio. Si tratta di quella che viene usualmente chiamata
institutio ex re certa: il testatore non determina direttamente la
quota del beneficiario, ma questa è indirettamente determinabile in
rapporto al valore dei singoli beni rispetto all’intero patrimonio
ereditario; il testatore, avendo presente l’intero suo patrimonio,
ha
assegnato singoli beni intendendoli come quota dell’intero, il che
implica una vera e propria istituzione di erede.
Non si tratta di una contraddizione tra il comma 1 dell’art. 588
(che farebbe riferimento ad un criterio distintivo di natura
meramente obiettiva, quale la totalità dei beni del testatore o una
quota di essi, per quanto riguarda l’erede, e i rapporti
determinati, per quanto riguarda il legatario) e il comma 2 del
medesimo articolo (che introduce un elemento soggettivo, quale la
volontà del testatore): anche l’institutio ex re certa costituisce
una concreta modalità di attuare la vocazione a titolo universale,
in quanto il testatore provvede a concretizzare la quota spettante
all’erede con il riferimento ai beni determinati e quindi a
realizzare una funzione di apporzionamento” dell’istituito. Il
momento istitutivo e quello divisorio sono racchiusi nell’unica
assegnazione, senza che l’apporzionamento venga disposto dopo una
preventiva chiamata in quote astratte cui segue una disposizione in
funzione meramente distributiva, diversamente che nell’istituto
della divisione ereditaria.1
Consegue che la distinzione non risiede in criterî di natura
obiettivocontenutistica, ma si fonda, in ultima analisi,
sull’elemento soggettivo della volontà del testatore.
Si tenga presente che non è richiesto l’impiego di formule rigide
per l’attribuzione formale del titolo di erede (ad esempio, le
espressioni “nomino” o “istituisco erede …”), ben potendo
il testatore esprimersi liberamente (ad esempio, “lascio i miei
beni a ...”).
D’altra parte, l’utilizzo di certe espressioni non è vincolante
per l’interprete, per cui il designato, pur chiamato “erede”
dal testatore, può essere qualificato, invece, come legatario.
Occorre specificare che il concetto di universalità non deve essere
inteso nel significato tradizionale, ossia come complesso di beni
costituito in unità (la c.d. universitas), bensì come totalità del
patrimonio del de cuius: così si ha contezza della ragione in forza
della quale la caratteristica della figura di erede risiede nella
universalità del titolo di acquisto, ossia di titolo astrattamente
idoneo a far acquistare tutti i beni dei quali il testatore non abbia
altrimenti disposto.
Nel legato manca tale capacità di estensione ad altri beni che non
siano quelli concretamente indicati dal testatore.
In concreto, tuttavia, può rimanere il problema di distinguere se la
disposizione testamentaria sia a titolo universale o a titolo
particolare. Si pensi alla disposizione dell’unico bene del de
cuius o del bene di rilevantissimo valore.
Come anticipato, il criterio distintivo è affidato, nella non
vincolatività delle espressioni utilizzate dal testatore (art. 588
cod. civ.), all’interpretazione della volontà contenuta nel
testamento. Il criterio fondamentale è solo la reale volontà del
testatore2.
Ciò potrebbe risultare tautologico o privo di utilità pratica per
l’interprete, in quanto non si abbia a riferimento la funzione
propria delle disposizioni a titolo universale e a titolo
particolare, funzione che deve guidare la ricerca della reale volontà
del testatore.
Infatti, la differenza tra erede e legatario non è meramente
quantitativa, ma più pregnante e riguarda la qualità e la natura
stessa della disposizione. La differenza risiede nella diversità
funzionale delle due disposizioni: come visto supra nel paragrafo 1,
il subingresso di un erede al de cuius risponde primariamente (ma non
solo) all’esigenza obiettiva di interesse generale che vi sia un
soggetto che assicuri la sistemazione e la continuazione dei rapporti
giuridici che non si sono estinti con la morte del titolare; al
contrario, la previsione del subingresso del legatario in un diritto
specificamente determinato assicura, di regola, il soddisfacimento
non di un’esigenza obiettiva di interesse generale, ma il
soddisfacimento di un’esigenza soggettiva del de cuius di
attribuire un certo vantaggio con effetto post mortem ad un certo
soggetto3.
Il legato svolge una funzione che non è quella di dare al defunto un
successore alla sua posizione giuridica oggettivamente immutata, ma
di favorire una persona o successione, un immobile al figlio,
configurandosi disposizione di erede, non di legato, se lo stesso
cespite sia parte rilevantissima dell'eredità, costituita anche da
terreni (Corte d’App. Trento, 19 dicembre 1998, in Nuovo dir.,
1999, 849).
La successione dell’erede risponde a necessità oggettive e di
rilevanza generale che trascende gli interessi privati, ossia
impedire la vacanza di titolarità di quei rapporti che non si
estinguono con la morte del titolare, quindi garantire la certezza
dei rapporti giuridici e la pace sociale. Nel legato sfuma questa
dimensione pubblicistica che connota l’istituzione di erede, per
lasciare spazio alla volontà del testatore e all’autonomia
privata, di disporre dei proprî beni, di imporre obblighi e di
costituire diritti in modo ampio.
Sul piano fenomenologico fa rispondenza a questa considerazione il
fatto che l’istituzione ereditaria è caratterizzata dal subentro
soggettivo in un patrimonio che rimane staticamente fermo; nel
legato, invece, prevale il momento attributivo. Riprova né è il
fatto che il legato può aver ad oggetto un bene altrui; che può
essere meramente liberatorio; che il rapporto con il creditore
ipotecario è assimilabile a quello dell’acquirente per atto tra
vivi. Si pensi ancora alla differente ripartizione dei “pesi” tra
legatario ed erede ai sensi dell’art. 668 cod. civ.: gli oneri
inerenti il fondo rimangano a carico del primo, mentre i debiti
rimangono in capo all’erede.
Se determinante è la volontà del testatore, la quaestio voluntatis
non può risolversi nella ricerca dei cangianti ed innumerevoli moti
interiori del disponente. Al contrario, sulla base del dato positivo
e del coordinamento delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2
dell’art. 588 cod. civ., l’elemento soggettivo si configura come
intenzione (o almeno consapevolezza) di assegnare beni determinati
come “quota” del patrimonio, ossia in un’ottica di “rapporto”
tra una parte ed il tutto, di tal ché si risolve nel concepire la
certa res come rappresentativa di una frazione dell’intero asse4.
Come esattamente osservato, “come in tutti gli atti di autonomia,
anche nel testamento l’autore dell’atto ha di mira un risultato
pratico, ed è la legge che collega atale volontà effetti giuridici
corrispondenti”.
In punto di fatto, l’indagine sarà condotta sulla scorta non tanto
del “valore” del patrimonio, ma della rappresentazione che di
esso aveva il testatore, in vista dell’interesse ad assegnare i
beni secondo criterî di opportunità (desunti dalla loro natura,
destinazione, rapporto di parentela, convivenza, etc.), nonchè di
conformità della disposizione agli effetti tipici della chiamata
ereditaria rispetto alle passività. La volontà del testatore deve
essere intesa come volontà di assegnare ad una certa persona una
parte del proprio patrimonio che aveva idealmente diviso,
considerandola quindi come uno dei suoi successori come tale
obbligato al pagamento dei debiti ereditarî oppure come volontà di
assegnare singoli beni (da ricevere dagli eredi) senza intenzione di
imporre l’obbligo del pagamento dei debiti ereditarî, attribuendo
un legato.
1
BALDISSERUTTO G. - BELLONI PERESUTTI G.P. – GIACOMELLI U. -
MAGAGNA M. –
VINCENTI
U.- ZANON U., op. cit., pag. 11-12.
32
AMADIO, op. cit., pag. 16; MENGONI L., La divisione testamentaria,
Milano, 1950, pagg. 3 e ss.;TATARANO, op. cit., pag. 363-364, che
rileva come i due istituti (divisione testamentaria ed institutio ex
re certa) non coincidono, essendo diverso il procedimento attraverso
cui si realizza il programma del testatore. Nella divisone il
procedimento è deduttivo, in quanto il disponente prima enuncia le
quote in astratto e poi le soddisfa in porzioni. Nell’institutio
ex re certa il procedimento induttivo, poiché il testatore
attribuisce beni determinati, che risultano all’interprete intesi
come quota nella rappresentazione mentale del testatore. Senza
considerare il profilo della vis espansiva in relazione ad eventuali
beni non considerati dal testatore, come regolato dall’art. 734
comma 2 cod. civ., in forza del quale se nella divisione effettuata
dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della
morte, è da ritenersi che gli stessi spettino all’erede legittimo
ove non risulti una diversa volontà del testatore, in
considerazione della funzione satisfattoria della res materiale
assegnata. Nel caso di disposizione ex re certa, invero, la sorte
dei beni non menzionati non è pacifica, ma è da ritenere che
l’idea di quota porti con sé la necessaria vis espansiva.
Amplius, BONILINI, Institutio cit., pagg. 239 e ss.].MESSINEO, op.
cit., pag. 24 BONILINI, Concetto cit., pagg. 13-14. Se il lessico
adoperato dal testatore non può ritenersi decisivo, un qualche
spazio potrebbe, tuttavia, sussistere, ove si accerti la perfetta
padronanza dei termini giuridici da parte del testatore: BONILINI G.
– BASINI G.F., I legati, in Tratt. di dir. civ. del Consiglio
Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingeri, v. VIII, t. 6,
Napoli, 2003, pag. 27; GIORDANO – MONDELLO, voce Legato (dir.
priv.), in Enc. Dir., XXIII, Milano, 1973, pag. 729; CARAMAZZA, op.
cit., pagg. 25-26.
2
Nozioni cit., pag. 7; BALDISSERUTTO G. - BELLONI PERESUTTI G.P. –
GIACOMELLI U. - MAGAGNA M. – VINCENTI U.- ZANON U., op. cit., pag.
12.
3
BONILINI, Nozioni cit., pag. 7; ID., Concetto cit., pag. 15;
BARBERO, op. cit., pagg. 859-860;GIORDANO – MONDELLO, op. cit.,
pag. 722; TATARANO, op. cit., , pag. 3.
4
AMADIO, op. cit., pag. 22; TATARANO, op. cit., pag. 359-361, 362 e
ss.]. In giurisprudenza, Cass. sez. II, 6 novembre 1986 n. 6516, in
Giust. Civ. mass., 1986, f. 11. Cass. sez. II, 1 marzo 2002 n. 3016,
in Giust. Civ. mass., 2002, 365, secondo cui in materia di
distinzione tra erede e legatario, l'assegnazione di beni
determinati deve interpretarsi, ai sensi dell'art. 588 c.c., come
disposizione ereditaria (institutio ex re certa), qualora il
testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei
beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione
di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come
legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni.
L'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi,
si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del
merito, ed è, quindi, incensurabile in sede di legittimità se
conseguentemente motivato.
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